“All you need is Bach”
Cameron Carpenter, organo
Sony Classical
“All you need is love”, così cantavano i Beatles nel 1967 e così, parafrasando il titolo di una delle loro più celebri canzoni, Cameron Carpenter decide di dedicare il suo primo progetto tutto dedicato a Bach.
Cameron Carpenter, americano classe 1981, ha fatto molto parlare di sè in questi ultimi anni, per il suo atteggiamento a tratti “irriverente” nei confronti della “musica forte” (come la chiama il nostro Quirino Principe). Ma a leggere la sua biografia capiamo che si tratta più che altro di un atteggiamento voluto più per marketing che non per convinzione.
Difficile infatti immaginare un musicista più raffinato di questo giovane organista che ha deciso di rinnovare l’approccio a uno strumento storicamente e tradizionalmente considerato “antico”.
Così, Carpenter ha capito presto che per far conoscere questo strumento e il suo repertorio fosse necessario uscire dal luogo dove naturalmente si trova da secoli. Se la gente non entra in Chiesa per ascoltare l’organo, all’ora è l’Organo che deve uscire fra la gente.
Ecco dunque questo gigantesco – all’apparenza mostruoso – strumento elettronico a 5 manuali che Carpenter porta in giro per le sue performance.
Dopo l’uscita del precedente album Sony (The sound of my life) devo ammettere che avevo timore che anche questo secondo volume fosse istrionico e di difficile approccio. Ma così non è stato, anzi.
Se nel precedente volume trovavamo trascrizioni di ogni tipo volte a mostrare le potenzialità del nuovo strumento, in questo a parlare è solo la musica di Bach, per lo più espressamente composta per lo strumento.
Il risultato è straordinario: Carpenter mostra tutte le sue eccezionali doti organistiche, senza timore di far storcere il naso ai puristi dello strumento. Un viaggio immaginifico che si apre con il Contrappunto IX dall’Arte della fuga e presenta poi una selezione di Preludi e Fughe, un paio di Triosonate per organo e qualche trascrizione, come il caso della Suite Francese n.5, la Passacaglia e fuga in do minore (il pezzo forte del disco, a mio parere).
Abbiamo così finalmente il modo di apprezzare Cameron Carpenter per quello che è, non solamente per il suo modo di vestire o di porsi di fronte al pubblico. Qui a parlare è la somma musica del Kantor, il quale penso avrebbe assai apprezzato questo album, dove è l’organo, in tutto il suo splendore e in tutta la sua ricchezza di timbri e di registri, il solo e assoluto protagonista.
Gabriele Formenti