11 settembre 2019
MiTo Settembre Musica – Russie –
Teatro degli Arcimboldi
Presenza fissa del Festival MiTo, per levatura artistica e per appartenenza geografica, il festival infatti coinvolge tutte le formazioni orchestrali delle due città che lo ospitano, è quella dell’Orchestra Filarmonica della Scala. Quest’anno il programma, dal titolo Russie, prevede due brani della grande letteratura musicale russa: il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra in re minore op.30 di Sergeij Rachmaninov e la Sinfonia n.6 in si minore op.74 di Pëtr I’lic Čajkovskij. Al pianoforte l’affermato pianista ucraino, naturalizzato italiano, Alexander Romanovskij e sul podio il grande direttore sud-coreano Myung-Whun Chung. Il programma non ha bisogno di antefatti o presentazioni: l’accostamento è dei più classici e collaudati. Entriamo dunque subito in medias res. Il concerto inizia sotto i migliori auspici: fin dall’inizio si comprende che Romanovskij ha un approccio non convenzionale a Rachmaninov evitando un eccesso di potenza e magniloquenza che qui, come si evince dall’ascolto, è del tutto non necessaria e limitativa. Il pianista ucraino è quindi votato più verso un Rachmaninov nervoso e asciutto, intimo e molto coerente nelle scelte interpretative. Chung asseconda, sostiene, guida il solista con il suo gesto essenziale e dona all’orchestra un suono pastoso e trasparente nella distinzione ed indipendenza delle voci e dei piani sonori. Qualche lievissima imprecisione di Romanovskij nel turbinio di note della parte pianistica di questo concerto è assolutamente trascurabile e poco rilevante, più rilevante è invece la trascuratezza del pianoforte Fazioli in sala. Ogni qual volta che Romanovskij utilizzava il pedale “una corda” la qualità del suono era decisamente poco gradevole e con il passare del tempo l’accordatura non ha tenuto raggiungendo un livello critico nell’ultimo movimento. Dopo scroscianti applausi Romanovskij concede due bis: il Preludio op.23 n.5 di Rachmaninov con il suo marziale tempo “alla marcia” e una difficile e delicata trascrizione di Yushkevich della celebre Badinerie dalla suite BWV 1067 di Johann Sebastian Bach. Nella seconda parte arriva il carico da novanta: la “Patetica” di Čajkovskij. Il peso umano e drammatico di questa partitura è senza dubbio l’aspetto più impegnativo con cui un direttore si deve confrontare. Chung dal canto suo non teme né le difficoltà tecniche né tantomeno quelle interpretative, da asceta quale è. Scaturisce una Patetica impressionante da ogni punto di vista: la cura delle dinamiche, il fraseggio e la conduzione del discorso drammaturgico (e drammatico!), la chiara visione architettonica della partitura che parte dal silenzio e finisce, spegnendosi, nel silenzio stesso. Come spesso accade con questa sinfonia il pubblico interrompe la magia applaudendo alla fine del terzo movimento quasi a liberarsi di tutto quel peso drammatico che Chung e la Filarmonica della Scala gli aveva caricato sulle spalle. L’orchestra ed il direttore non perdono però il filo e riprendono dopo svariati secondi di interruzione senza cali di intensità e attenzione con un quarto movimento di un peso specifico e di uno spessore notevolissimi. Un climax condotto con decisione e vigore viene “sporcato” da un imperfezione della tromba, ma questo serve solo a riportare il teatro, pubblico e musicisti, con i piedi per terra: andare oltre, fare meglio non sarebbe stato fisicamente possibile!
Luca Di Giulio