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Cecilia Bartoli

Antonio Vivaldi

Ensemble Matheus

Direzione Jean – Marc Spinosi

DECCA

5 stelle

È uscito il nuovo album di Cecilia Bartoli ed è subito evento, come sempre giustificatissimo dall’alto valore dell’esecuzione e della cantante. Lo ascolti una prima volta e già ti sembra bellissimo, lo ascolti una seconda, una terza e via via lo ami sempre più, alla fine dopo decine di ascolti pensi: è un capolavoro, l’ennesimo sicuramente. Ma per me viene dopo un album, quello sui compositori italiani in Russia, un po’ deludente per la scelta dei brani , io che mi aspettavo,e ancora da lei mi aspetto i Paisiello, i Traetta, gli Jommelli. E in più è un album particolare perché celebra due eventi: i trenta anni di collaborazione con la Casa discografica Decca, che ha permesso al mezzo soprano italiano di fare molte incisioni che potevano non andare incontro ai favori di un pubblico abituato al solito repertorio per Mezzo, e soprattutto di musica barocca, all’epoca ancora molto poco nota e di nicchia, soprattutto se eseguita con criteri filologici e strumenti antichi. E questa considerazione porta a quello che a mio avviso è il vero evento, la celebrazione dei venti anni dell’uscita del suo album Vivaldi, che avrebbe aperto gli occhi a tutti i baroccofili sulla grandezza del compositore Veneziano, quello che secondo Stravinsky avrebbe riscritto cento volte la medesima musica. E lo fa Cecilia , dedicando un nuovo stupefacente album ad Antonio Vivaldi, quel Vivaldi che proprio lei ha aiutato ad uscire da un oblio immeritato. Infatti dopo lo straordinario successo di quell’album di venti anni fa, si incominciò a studiare attentamente un autore eccezionale e poliedrico, sia sul versante strumentale che vocale. La proposta di dedicare una intera collana, poi attuata e ancora non terminata a Vivaldi da parte della Naive, la Vivaldi Edition , che si riprometteva di pubblicare tutta l’enorme collezione di partiture vivaldiane, arrivate fortunosamente e fortunatamente alla Biblioteca di Torino, la volontà di unire le forze anche economiche per un’impresa di enormi dimensioni, anche da parte di Enti e Fondazioni torinesi, diedero la stura alla pubblicazione di una enorme quantità di meravigliosa musica, altro che i 100 brani tutti uguali. Non c’è concerto, , non c’è opera, sacra o profana, non ci sono composizioni per ogni strumento musicale, dal Violino, naturalmente lo strumento principe per Vivaldi, ma anche flauto, violoncello, mandolino, chalumeu , violette all’inglese ( vuole da gamba?), oboe, in partizioni a due , a tre a quattro, concerti grossi, e infine la voce, le incredibili opere sacre e soprattutto serie, che non abbiano il crisma dell’originalità . E della Bellezza. Una enorme attività concertistica a Venezia, a Dresda , Maestro all’Ospedale della Pietà, un compositore di così vasta e ricca produzione, usciva in tutta la sua eccezionalità, eseguito dai più grandi gruppi di musica barocca filologicamente informata, e fu Renaissance, e fu amore travolgente per moltissimi che conoscevano solo le Quattro Stagioni. Io sono sempre stata convinta che tutto questo successe grazie anche e soprattutto a quell’album di Cecilia, lei destinata ad un repertorio soprattutto rossiniano, che, dopo Vivaldi, un eccezionale Vivaldi accompagnata dal Giardino Armonico di Giovanni Antonini, incomincia a dedicare uscite su uscite a grandi e spesso poco conosciuti maestri barocchi, ogni volta con Ensemble diversi per caratteristiche, ma tutti in grado di seguirla nella sua geniale e unica vocalità. In molti se ne accorsero, ma credo che il musicista che più di ogni altro diede grande valore delle sue enormi potenzialità in questo repertorio così inusuale in quel periodo, per una grande star internazionale, e per una grande etichetta come la Decca, fu Nicolaus Harnoncourt, che la sprono’ a seguire questa strada. Ed ecco gli album felicissimi sul Gluck italiano, mai ascoltato, su Salieri, sui compositori sei-settecenteschi romani, sui Castrati e quindi sugli autori napoletani del Settecento , anche loro dimenticati, su Steffani, altro eccezionale autore in totale oblio, un album che io ho amato appassionatamente. Tutti autori che grazie a lei ritrovarono nuova popolarità e riconoscimento della grandezza compositiva. Ed ora di nuovo Vivaldi, il grande operista, l’autore di drammi seri di eccezionale bellezza, ed oggi che molti li conosciamo perché finalmente pubblicati nella loro interezza, ci stupiscono ogni volta per la straordinaria originalità, per l’amore con le quali le arie, splendide, sono costruite sulle affascinanti voci che il Maestro Veneziano aveva a sua disposizione, soprattutto i castrati, ma anche i soprani donne, i contralti. Un ventaglio di arie di enorme levatura che ci vengono proposte in questo nuovo affascinante e impagabile lavoro di Cecilia, che dona la sua voce dalle mille sfaccettature melodiche a un maestro che una volta di più ci convince essere uno dei grandissimi del Settecento e di tutti i tempi. Ed ecco le arie patetiche tratte dalle due versioni dell’Orlando Furioso, dal Giustino, dall’Ottone in Villa, dal Catone in Utica, fino alla stupefacente Sovente il Sole tratta dall’Andromeda liberata, attribuita inizialmente a Marcello, perché l’Andromeda è un pasticcio, ma definitivamente attribuita a Vivaldi, le arie di bravura dal Tito Manlio, dall’Argippo, dalla Verità in Cimento, dalla Silvia. La voce di Cecilia è sempre quel miracolo della Natura, quella voce capace di mille sfumature, di mille colori, dai pianissimi, alle agilità, ed ogni volta che la ascolti ti chiedi come è possibile che ancora dopo anni riesca a stupirti, ad emozionarti, a farti sentire ed apprezzare come se fossero nuove , anche arie che conosci a memoria. Una voce che ho ascoltato tante volte dal vivo, amando appassionatamente la sua generosità, nei bis, nel dedicarsi anima e corpo al suo pubblico.Ascoltata molto poco in Italia, dove non è ammirata molto dai puristi, puristi poi di cosa. Persone che non sanno che una voce come la sua è unica perché riesce proprio a movere quegli Affetti della grammatica barocca retorica, che la sua voce è adatta, giusta, proprio per questo repertorio, anche se nell’Abum sulla Malibran, nella Norma, nella Sonnanbula , ha provato che anche quelle opere romantiche erano pensate e costruite per voci dalla tessitura di mezzo e non coloratura. Con lei ritorna dopo lungo tempo a Vivaldi anche l’Ensemble Matheus con Jean Marc Spinosi, che fu proprio l’artefice delle prime incisioni operistiche della Naive Edition nel 2005. Che con la sua irruenza e vivacità ci fece amare, subito, incondizionatamente . Sembra passata una vita, eppure quelle incisioni che custodisco gelosamente, che mi hanno formata alla passione per la musica settecentesca, io che apprezzavo solo il Seicento e Monteverdi soprattutto , ma che da bambina ascoltavo ossessivamente proprio Vivaldi e amavo a sette-otto anni , l’Inverno, delle Quattro Stagioni, con i violini all’unisono che mi ammagliavano, anche se allora non era eseguito con gli strumenti barocchi, anche se una bambina non può comprendere perché gli piace così tanto una certa musica. Ecco riascoltando questo album sono tornata ancora quella bambina . Grazie Cecilia per avermi ancora una volta, stupita, ammagliata, emozionata. Ritorna presto con un nuovo album sperando che stavolta sia dedicato alla musica di fine Settecento napoletano che ti dovrebbe essere così congeniale, come hai provato nella magnifica esecuzione della indimenticabile Nina di Paisiello.

Isabella Chiappara