Roma 6 ottobre Teatro Torlonia

Reate Festival Baroque Ensemble

Claudio Monteverdi

Il ritorno di Ulisse in Patria

Libretto di Antonio Badoaro

Reate Festival con la collaborazione del’Accademia Filarmonica di Roma, il Teatro di Roma, Teatro dell’Opera di Roma, Fondazione Alberto Sordi  per i giovani

Direzione Alessandro Quarta

Cesare Scarton regia

Michele della Cioppa scene

Anna Biagiotti costumi

Andrea Tocchio luci

Principali interpreti

Ulisse Mauro Borgioni, Penelope Lucia Napoli

Minerva e Amore Sabrina  Cortese, Giunone e Fortuna Vittoria Giacobazzi

Giove Gianluca Buschino, Nettuno e Tempo Piero Facci

Telemaco Roberto Manuel Zangari, Humana Fragilità e Pisandro Enrico Torre

Anfinomo Luca Cervoni, Antinoo Giacomo Nanni

Eurimaco Antonio Sapio, Melanto Michela Guarrera

Eumete Andres Montilla -Acurero, Ericlea Tonia Lucarelli

Iro Alessio Tosi

5 stelle

Il 5 ottobre con repliche il 6 -7 al Teatro Torlonia di Roma e il 10 ottobre al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti è finalmente approdato Monteverdi con il suo Il ritorno di Ulisse in Patria, grazie al Reate Festival e a una serie di Fondazioni ed Enti romani. Un vero evento perché la rarità della presenza di Monteverdi sulle scene romane e reatine è ben nota, e in particolare l’Ulisse, non ha mai visto le scene della Città eterna neppure nell’età barocca. Doppio evento perché l’affidamento della gestione al Teatro di Roma, di quell’assoluto gioiello che è il Teatro Torlonia, inserito nel contesto nell’omonima Villa romana, ci fa sperare in un uso frequente, proprio, viste le sue dimensioni e l’acustica perfetta, ideale per il Teatro musicale Barocco. Il Ritorno di Ulisse in Patria di Claudio Monteverdi fu musicato su libretto di Giacomo Badoero, probabilmente per una rappresentazione Veneziana e in seguito bolognese negli anni 1640-41, e ripresa nel corso di quel decennio a Vienna grazie al melomane Imperatore Leopoldo I , come attesta la presenza di una partitura manoscritta  a Vienna, l’unica, mentre esistono diversi libretti in altre biblioteche . È altamente probabile che Monteverdi, in quel momento il musicista più importante a Venezia, vista la sua carica di Maestro di Cappella a San Marco, sia stato contattato da Francesco Manelli, primo musicista a mettere in scena un dramma in stile rappresentativo in un teatro pubblico a Venezia, e in Italia aggiungo, l’Andromeda al Teatro San Cassiano nel 1637, e il grande musicista alla veneranda età di 76 anni, abbia deciso di lanciarsi potremmo dire in questa nuova avventura, dato i tempi assai lontani dell’Orfeo (1607) e dell’Arianna, della quale purtroppo ci rimane soltanto il meraviglioso frammento del Lamento di Arianna. Monteverdi quindi dopo una ripresa dell’Arianna per inaugurare il Teatro di San Moise’, accettò la commissione per un’opera da mettere in scena al San Cassiano, su libretto del nobile Veneziano Giacomo Badoero, tratto dai libri XIII -XXIII dell’Odissea di Omero, Il ritorno di Ulisse in Patria, che narra le vicende ultime del grande condottiero greco , errante dopo la guerra di Troia per l’inimicizia del Dio Nettuno, che non gli permise se non dopo 10 lunghi anni di ritornare alla sua amata Patria Itaca e dalla sua sposa Penelope. L’opera, come da tradizione del teatro greco, è composta da un Prologo, e cinque atti, con le regole di conformità di luogo, tempo e azione assolutamente rispettate. Possiamo sicuramente affermare che Monteverdi, se con l’Orfeo apre la strada all’opera in Recitar cantando , che approderà soprattutto a Roma, grazie ai Barberini e alle opere in stile rappresentativo  messe in scena nel loro teatro a partire dal 1636, con l’Ulisse approda al dramma in musica, dove il Recitar cantando viene in parte sostituito dal cantar d’affetto, rivoluzionando la drammaturgia del teatro musicale e del canto Barocco, che troverà nell’Incoronazione di Poppea dello stesso Monteverdi e nel teatro musicale di Cavalli poi, le altezze del nuovo modus operistico, abbandonando il madrigale ed approdando al canto lirico. Ma la strada è ancora lunga da percorrere, e potremmo quasi definire l’Ulisse una sorta di  esperimento, che si congiungeva a quello stile concitato, temperato e molle, della Seconda Prattica madrigalista, del VII e VIII libro e agli esiti di tanta musica sacra di quegli stessi anni, legata alle nuove ricerche musicali monteverdiane di un teatro che rappresentasse le Passioni e quindi la Retorica degli Affetti. In più i materiali compositi che forniscono l’unica partitura e i diversi libretti presentano delle incongruenze e dei tagli, non sappiamo se voluti dallo stesso Monteverdi, ad esempio nei cori, ancora presenti nel libretto dell’Ulisse, ma non in partitura . Anche la concertazione offre delle riflessioni. Sicuramente il Teatro pubblico Veneziano non poteva permettersi le  importanti compagini del teatro musicale privato del Principe , come quello dei Medici e  Barberini o degli Asburgo, ancora nel 1664 l’accompagnamento tipo era composto secondo Donnington ( The rise of Opera) da tre clavicembali, quattro corde , due liuti e una parte non specificata. E dobbiamo pensare che negli anni 40 il numero fosse ancor più esiguo. In effetti la musica accompagnava il canto e si ascoltavano degli attori -cantanti declamare versi in musica, dove la parola, il recitar veniva prima della musica. Questo però non deve far pensare che la declamazione del cantante non potesse essere accentuata in qualche caso da un accompagnamento d’un concerto d’istrumenti, ma mai troppo denso. D’altronde lo strumento poteva improvvisare  l’accompagnamento sulla voce, come già avveniva in campo strumentale.

foto di: Alex Giagnoli,

foto di: Alex Giagnoli

Il Ritorno di Ulisse in Patria è quindi un’opera cardine del teatro musicale, ma richiede da parte degli esecutori moderni, direttore strumentisti  e cantanti , una grande attenzione al dato filologico e naturalmente  alle sue controverse, per molti studiosi, caratteristiche. Facendo delle scelte. Alcune azzardando anche la presenza dei cori e di alcune parti tagliate. Io credo che Alessandro Quarta grande conoscitore del repertorio operistico seicentesco, abbia scelto una strada sicuramente purista e filologicamente conforme, pur  riuscendo a dare colori e accentuazioni drammatiche difficilmente ascoltate in altre versioni moderne. La storia si riassume brevemente anche perché ben conosciuta. Ulisse nel suo errare approda all’Isola dei Feaci, che decidono di aiutarlo, ma vengono puniti da Nettuno che li trasforma in scogli. Ulisse comunque si ritrova su una spiaggia dove Minerva , sotto forma di giovinetto, gli dice che è giunto a Itaca, ma deve mascherarsi da uomo anziano , per non attirare le attenzioni dei Proci che si sono appropriati della Reggia e vogliono che uno di loro sposi la fedele Penelope. L’opera inizia intanto con un prologo, rimasto poi prassi comune per diverso tempo, nel quale, Fortuna, Amore, e Tempo, dialogano con Humana Fragilità ,che deplora l’eccessiva precarietà della vita umana , sotto il giogo di queste divinità. E qui devo già dire che Enrico Torre ha mostrato una grandissima sensibilità e un canto d’eccezione in questo ruolo difficilissimo.

Il primo atto inizia con Penelope che si confida con la sua nutrice Ericlea, e piange il suo destino amaro di non aver rivisto il suo sposo dopo la fine della guerra di Troia. E qui si pone subito un primo momento sublime , che è un vero e proprio Lamento di  Penelope, interrotto soltanto due volte da Ericlea, un momento di altissimo canto, nel quale deve apparire contemporaneamente la desolata mestizia e irrefrenabile dolore di Penelope, e la sua irriducibile volontà di non cedere mai alla fedeltà destinata all’amato sposo.

Un brano che Lucia Napoli ha interpretato in modo eccelso, da brividi. È il momento che più amo dell’opera e Lucia Napoli con  la sua stupenda voce di mezzo è riuscita a renderne tutta la sospesa tragicità , tutta l’angoscia della regina dolente ma risoluta. La storia con il breve intervallo degli amori fra la serva Melanto con Eurimaco, anche questi forieri di tante scene buffe amorose che accompagneranno la storia del teatro musicale successivo, e l’intervento frequente degli Dei: Minerva, Giunone e lo stesso Giove , convinto che l’accanimento contro Ulisse debba finire, e Nettuno che ancora non perdona e lo vuole punire, continua con scene dedicate di volta in volta all’incontro di Ulisse con Telemaco , di questi con la madre, alla quale , pur contrariata descrive la grande bellezza di Elena, e di Melanto che vorrebbe convincere Penelope a lasciarsi andare all’amore. A questo proposito c’è da fare una notazione sul tipo di canto che Monteverdi affida agli Dei, figure importanti ma di un’altro realtà , ultramondana, forse destinata a finire, e quindi per loro viene scelto ancora lo stile passaggiato, che tanto era stato usato per la figura di Orfeo, un canto virtuoso, ma ormai superato per il nuovo cantar gli affetti, come infatti vediamo nelle parti di Ulisse, Penelope, mentre Telemaco ha un canto più leggiadro e virtuoso. Nei successivi atti, la presenza gloriosa di Ulisse sconvolge tutto lo scenario: prima si fa riconoscere da Eumene e da Telemaco, intimando il silenzio, successivamente alla Reggia, prima ingaggia vincente, pur nella sua canuta apparenza una lotta con il parassita Iro, e poi vendicandosi terribilmente dei Proci. Questi infatti avevano deciso di porre fine all’attesa della scelta di Penelope, sposandola e proponendosi tre di loro con regali che la regina rifiuta, e decidendo la morte di Telemaco.

foto di: Alex Giagnoli

foto di: Alex Giagnoli

Penelope a sua volta lancia la sfida: chi riuscirà a tendere l’arco di Ulisse sarà suo sposo. Alla prova si cimentano i tre Proci, ma sarà solo il vecchio mascherato Ulisse che proponendosi anch’esso per la prova , non solo porrà fine al travestimento ma tendendo il suo arco, trafiggerà a morte i suoi nemici. Ma Penelope non è ancora sicura, vuole che il pretendente le descriva la sua coltre matrimoniale che solo Ulisse ha visto. Finalmente Ulisse potrà ricongiungersi con la sua sposa e ritrovare il suo regno.

La prova di Mauro Borgioni come Ulisse è sorprendente e bellissima, per voce e recitazione. Un Ulisse forte, risoluto, magnetico, a cui Borgioni offre la sua splendida voce baritenorile, potente, la scena dell’uccisione dei Proci  è straordinariamente coinvolgente, soprattutto grazie all’accompagnamento musicale e alla direzione di Quarta che imprime un ritmo serratissimo, in stile concitato, alla scena, molto ben congegnata anche dal regista Scarton. Una scena che ricorda le grandi battaglie delle opere handeliane, della Partenope o del Rinaldo. Musica che si fa imperio, voce che si fa volere di vendetta, che non conosce sfumature di Pietà. Dopo la prova nell’Orfeo al Regio di Torino, credo che Borgioni si candidi a diventare non solo il miglior baritono per la scena barocca, ma chissà,  lo attentiamo in prove ancora più ardue .

Tutto il cast ha mostrato un’ottima conoscenza e capacità di rendere gli affetti barocchi, dal già citato Torre e naturalmente la Napoli, ma anche Luca Cervoni ottimo feacio e poi Anfinomo. Gli Dei sono stati interpretati , con destrezza nell’arcaico stile passaggiato, mi sono piaciute soprattutto la Minerva della Giacobazzi e la Giunone della Cortese.

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foto di: Alex Giagnoli

La regia di Scarton è stata interessante, alcuni quadri molto belli, quasi dei tableau vivant, grazie alle ottime luci, dei momenti molto potenti, e una giusta interpretazione dei ruoli, fra la diversità degli Dei e dei mortali. Forse un po’ eccessiva  la multiforme presenza , nei costumi moderni, di stili giustapposti. Una maggiore omogeneità l’avrei gradita maggiormente. Bellissime  comunque le scelte relative a Ulisse, avvolto con un manto scuro, quasi la statua di un Edipo dolente, della Penelope di Lucia Napoli, più commovente ed altera nel Lamento che nel suo vestito da sera sfavillante in stile Vionnet. In ogni caso un bravo alla costumista, anche se nella multiforme varietà degli stili, sempre impeccabili storicamente, ho apprezzato grandemente in particolare gli abiti stile 1880 delle due Dee.

Per concludere uno spettacolo eccellente al quale Alessandro Quarta ha impresso ritmi forti, dinamiche che spesso non si odono in questo repertorio. Che lo rendono vivo e da amare anche a noi contemporanei. E se lo dico io che credo di aver ascoltato tutti gli Ulisse incisi ,mi posso permettere credo di metterlo  a pari merito con Garrido , Alessandrini e Jacobs, non dimenticando il grande maestro di tutti Harnoncourt.

Isabella Chiappara