ALLA (RI)SCOPERTA DEL FLAUTO OTTOCENTESCO

INTERVISTA CON PAOLO DALMORO di Gabriele Formenti

Prima di tutto volevo chiederti: come nasce il tuo interesse verso lo strumento originale? Perchè hai deciso di perfezionarti con il flauto ordinari a 5 chiavi?

L’interesse verso il “flauto storico” è maturato dalla fine degli anni ’70, giovane studente del Conservatorio, nei lunghi corridoi, passavo accanto ad antiche e polverose bacheche che conservavano, un po’ alla rinfusa, vecchi flauti di legno, con meccanismi strani che all’epoca non sapevo assolutamente come classificare perché molto diversi dal mio. Ho sempre conservato la curiosità di conoscerne il suono. Poi, con gli anni e maggior consapevolezza ma sempre spinto dalla curiosità, ho avuto modo di incontrare prima il flauto barocco, poi il flauto “classico” ed infine, la mia vera passione, il flauto “ ottocentesco”. In Italia questo strumento, il flauto precedente al Boehm per intenderci, non ha una vera e propria definizione, un nome proprio….lo abbiamo per tradizione chiamato “flauto Ziegler” ma si tratta di una metonimia, Ziegler era infatti un fabbricante di strumenti, per altro austriaco. Di fatto, non avendo un nome, semplicemente non esiste (nomen omen) e così è completamente scomparso dalla scena. Nel mondo anglosassone, dove sopravvive però nella musica tradizionale, si chiama “simple-system” , analogamente in Francia, “flute ordinaire”. Con il tempo, anche grazie alla complicità della mia passione verso il repertorio musicale del periodo, ho iniziato a suonare prima strumenti tedeschi, con molte chiavi, poi mi sono avvicinato allo strumento francese, a 5 chiavi che è il mio prediletto. Si tratta di uno strumento diatonico, come il flauto barocco o come il flauto dolce, tanto per intenderci, con l’aggiunta di piccole leve, dette chiavi che servono per agire su altrettanti fori ognuno dei quali permette di emettere una nota al di fuori della tonalità di re maggiore ovvero quella naturale in cui è stato costruito lo strumento. Si tratta dunque di uno strumento molto semplice, essenziale nella sua praticità ma anche molto elegante, che ha dominato tutto l’800 francese. Tulou ne è stato l’alfiere, tanto è vero che si chiama proprio “modello Tulou”. Comunque, alla fine, solo qualche anno fa, ho provato una delle più grandi soddisfazioni professionali, suonando uno di quei flauti conservati in Conservatorio ora perfettamente restaurati, che avevo così ammirato da bambino.

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Il disco presenta i lavori di Jean Louis Tulou e di Eugene Walchiers; il primo è noto ai flautisti, il secondo invece rappresenterà forse una sorpresa. Come hai costruito il programma di questo disco?

L’idea originaria era quella di registrare alcune tracce per flauto solo tali da mettere in evidenza le caratteristiche dello strumento, le possibilità tecnico/esecutive, la tipicità ed il colore del suono, questo doveva essermi utile per esemplificazioni in conferenze, seminari, corsi ecc. Poi il lavoro si è ampliato con la ricerca di repertorio. Avevo trovato un’ interessante raccolta di brani per flauto dell’800, molti dei quali in origine per flauto e pf. , trascritti per strumento solo, pratica diffusa proprio per adattare composizioni note all’uso domestico e conviviale, la diffusione del flauto nell’800, era infatti simile al quella odierna della chitarra. Questa raccolta  Ny Maanedlig-Journal For Fløite Solo, ad opera del compositore e editore danese C.D. Milde, conservata a Copenhagen è stato il punto di partenza per costruire il programma, inizialmente centrato su Tulou e poi integrato da alcuni brani di Walchiers tratti da Les Délassemens du Flûtiste, op. 47. Anch’essi inediti. Walchiers è stato uno dei primi allievi di Tulou e ci ha lasciato un ampio catalogo di opere, piuttosto interessanti e non banali. Un autore sicuramente da approfondire. Quindi, dopo aver registrato un master grazie all’amico Fabrizio Chiapello, presso la sua sala di registrazione “Transeuropa”, a Torino molto conosciuta, il caso ha voluto che venissi contattato da Edmondo Filippini di Da Vinci Classic, e lì è nato il disco, penso il primo in assoluto a presentare brani eseguiti interamente su un flauto francese a 5 chiavi del 1860.

L’esecuzione con strumenti originali…filologia…prassi esecutiva… quanto è importante oggi suonare brani noti con gli strumenti dell’epoca? Qual è il senso oggi di proporre i grandi capolavori della letteratura flautistica con gli strumenti dell’epoca?

Parto dal presupposto che ogni esecuzione su strumenti storici e dunque in una prospettiva filologica, storicamente informata (Historically informed performance) è sempre frutto di un compromesso tra i precetti desunti dallo studio attento dei metodi dell’epoca (stiamo parlando dell’800) e la sensibilità attuale, dei giorni nostri. In altre parole, la mia idea di esecuzione storica non è solo un tentativo di mimesi di un qualche cosa che possiamo solo immaginare (tentare la ricostruzione storica del suono per esempio) ma è piuttosto traslare quest’idea ai nostri tempi trasfigurandola in funzione di ciò che siamo noi oggi, la nostra cultura, la nostra sensibilità, le nostre capacità percettive. Questo sempre però alla luce di quanto indicato dalla manualistica dell’epoca. Mi riferisco per esempio ad un certo fraseggio, all’emissione del suono, all’uso degli abbellimenti ecc. che naturalmente deve essere conservato. Quindi il compromesso è lo sforzo di portare il più possibile vicino allo standard attuale, alla fruibilità del pubblico moderno le esecuzioni con lo strumento storico, nel mio caso non una copia moderna (in qualche modo già adattata e pensata per l’oggi) ma il reale strumento dell’epoca. Questo implica una quantità di studio e di impegno non indifferente, di lavoro sullo strumento e sulla sua piena conoscenza. Un altro aspetto che ritengo importante della mia ricerca, è la rilettura del repertorio ottocentesco con lo strumento storico adatto, recuperando la giusta prassi esecutiva. Come dicevo, il flauto in simple-system è molto differente dal flauto moderno quindi l’approccio è completamente diverso, eseguire dei brani con lo strumento per il quale sono stati composti apre notevoli possibilità di esplorazione del repertorio secondo una “nuova prospettiva”, nuova perché pochi (o nessuno) l’hanno fin’ora perseguita. Immaginiamo per esempio cosa potrebbe essere la rilettura comparata del repertorio didattico in uso nei nostri conservatori che, se abitualmente eseguito con lo strumento moderno, in origine è stato composto per lo strumento a chiavi quindi con obiettivi didattici molto differenti.

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Ci racconti qualcosa sul flauto che utilizzi? Come ne sei venuto in possesso? Preferisci gli strumenti originali o le moderne copie?

Uso flauti originali e non copie. Solo per questo disco ho usato un flauto francese del 1860 circa a 5 chiavi con una testata ( la parte terminale dello strumento) costruita per me da John Gallagher durante un mio soggiorno negli USA. Sono stato con lui un po’ di giorni nel suo incredibile laboratorio sperso tra le foreste degli Appalachi, più simile alla casa di un trapper che ad un atelier. Mi ha fatto vedere tutti i suoi appunti di misure prese da flauti nei musei in giro per il mondo per arrivare a costruire una testata che, pur essendo copia fedele dell’originale, migliorasse l’intonazione e rendesse ancora più cristallino il suono del mio flauto. Io non sono un collezionista, apprezzo molto gli strumenti di gran nome ma preferisco flauti che abbiano una buona resa e che suonino bene a prescindere dal blasone. Molti dei miei strumenti li ho acquistati su e-bay a prezzi molto bassi ed alcuni di questi sono ottimi. La disponibilità di flauti di questo tipo è molto più ampia di quanto si pensi. Recentemente ho acquistato per pochi euro, sempre ad un’asta on-line, un flauto francese presentato come anonimo. In verità si tratta di un bellissimo flauto di Maison Dolmetsch della metà del secolo, flauto eccezionale che sto facendo restaurare.

Sei anche molto attivo sui social network e su youtube. Ci puoi raccontare di questa tua attività?

Oggi la rete offre possibilità solo qualche anno fa impensabili. I social, se usati bene, danno la possibilità di far conoscere il proprio lavoro, di entrare in contatto con altri ricercatori e musicisti, offrono la possibilità di confronti e perché no, di incontrare realtà lavorative importanti. Mi rivolgo soprattutto ai giovani. Buona parte del mio lavoro sull’800 vorrebbe avere anche una valenza educativa, rivolta ai giovani flautisti che si affacciano alla professione e hanno davanti un mare sterminato di possibilità ma la maggior parte di loro non lo sa: uscire dai percorsi usuali vuol dire aprirsi nuove strade, esplorare nuovi territori, magari non nell’immediato ma se c’è la passione e la serietà, le possibilità aumentano e i tempi si riducono. Oggi, chi ha il coraggio di rivolgersi a questo mondo di riscoperte musicali, non solo per il flauto ma anche per gli altri strumenti a partire dal pianoforte, ha davanti una prateria sterminata da colonizzare e fare propria ma soprattutto, ha la chance di costruirsi grandi opportunità lavorative. E’ tutto da fare e la rete può aiutare molto a comunicare i propri progetti, farsi conoscere, condividere in particolare fuori dalla nostra nazione.

Prossimi progetti? Hai un sogno nel cassetto per un CD speciale, particolare?

Si, ho un progetto molto ambizioso, che coltivo da anni: registrare le opere di Jules Demersseman, il mio beniamino. Ho già dedicato a lui il mio primo CD da solista (per Niccolò nel 2001) e vorrei riproporlo con lo strumento storico, repertorio molto impegnativo perché Demersseman è stato forse il più grande virtuoso dell’800 flautistico. Ottimo compositore ma la vita non gli ha dato sufficiente tempo per portare a compimento la sua maturità artistica. Ho un altro CD in programma, sempre dedicato a Tulou in duo con il mio collega ed amico statunitense Wendell Dobbs. Posso anticipare che è in uscita un CD per Tactus dedicato alle composizioni cameristiche di Enrico Bossi dove eseguo due suoi brani per flauto e pianoforte, rigorosamente su uno strumento a chiavi della fine dell’800 e verso Natale uscirà una riedizione di un mio CD dedicato a Briccialdi (nel bicentenario della nascita) sempre per Da Vinci Classic.