Teatro Regio di Parma
domenica 20 gennaio 2017, ore 15,30
Anna Bolena
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani
Musica Gaetano Donizetti
Personaggi e interpreti:
Anna Bolena Yolanda Auyanet
Enrico VIII Riccardo Zanellato
Giovanna Seymour Sonia Ganassi
Lord Rochefort Paolo Battaglia
Lord Riccardo Percy Giulio Pelligra
Smeton Martina Belli
Signor Hervey Alessandro Viola
Maestro concertatore e direttore: Fabrizio Maria Carminati
Regia: Alfonso Antoniozzi
Scene e video design: Monica Manganelli
Costumi: Gianluca Falaschi
Maestro del coro: Martino Faggiani
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro del Teatro Regio di Parma
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro Carlo Felice di Genova
L’attesa del pubblico parmense per l’opera Anna Bolena è carica di chiacchiericci. Sono passati quarant’anni dall’ultima rappresentazione di Bolena a Parma, e all’apertura del Teatro c’è chi sgrana i nomi degli interpreti e direttori delle recite storiche, magari incespicando su qualche data. E’ un pubblico preparato quello parmense, giustamente temuto per i buh pronti in tasca mescolati alle caramelle. C’è il pienone per l’ultima recita della domenica pomeriggio, con una significativa partecipazione di giovani (visibilmente non cooptati dai nonni).
All’entrata si viene a sapere che il Re è sotto scacco. Anche Enrico VIII ha ceduto ai mali di stagione, come alla generale il Percy di Mironov (poi Pelligra) e il Signor Hervey (prima Picone poi Viola). Almeno la regina ‘in pectore’ Sonia Ganassi ha resistito (e bene) fino all’ultima nota, pur avendo dato l’annuncio dopo un lungo intervallo, di una sua incipiente indisposizione.
Quest’opera donizettiana (eseguita in prima al freddo del carnevale milanese nel 1831) richiede un fisico all’Altezza e, a dispetto di qualche aggiustamento in itinere del cast, il Regio di Parma ne esce a ‘testa alta’. Tutti i protagonisti hanno riservato al proprio personaggio un’eccellente resa di quei piani espressivi che Donizetti impone. Sfaccettature di personalità, sentimenti che si avvicendano a stretto giro, su una trama operistica mai scontata e con difficoltà vocali a ogni angolo. Ai cantati si richiede un’eccellenza equamente distribuita e forse per questo che l’Anna Bolena è tra titoli meno allestiti.
Ma nessuna difficoltà si è percepita a carico dei padroni di casa. Anna (Yolanda Auyanet) è autentica regina dei propri mezzi. Austera nella figura e nella dizione impeccabile, si muove con passo sicuro non lasciandosi ingannare dai fraseggi impervi, dagli acuti potenti o in pianissimo. Giunta sull’aria finale ‘Al dolce guidami…’ il pubblico si scioglieva in fragoroso applauso, con chiamate d’improbabili bis. L’ancella ‘iniqua’ Sonia Ganassi è un esempio di belcanto italiano, puntuale nell’interpretazione e nelle morbide sonorità. Piena di quelle certezze ai cui l’attuale ascoltatore d’opera non è più avvezzo. Bravo/a e piacevole, pur nella femminilità sin troppo prorompente, anche il paggio Smeton di Martina Belli. Non da meno troviamo nelle voci maschili (il reparto più decimato). Dallo squillante Giulio Pelligra, tenore nei panni di Percy che arriva pulito e sonoro, al Re (Riccardo Zanellato) già pronto a salire sul palco, dopo aver supportato dalla buca il primo Enrico VIII colpito da afonia (Marco Spotti). Spigliati e sicuri anche il Signor Hervey di Alessandro Viola e Lord Rochefort di Paolo Battaglia.
Applausi a scena aperta per il coro (preparato dal maestro Martino Faggiani) che non perdeva mai il filo pur essendo messo l’angolo da una scenografia ingombrante.
(foto di: Roberto Ricci)
Al centro del palco una torta a cinque piani, dove si svolgono ‘tutti i fatti’ e la cui circonferenza rispetto all’area calpestabile del palcoscenico limitava i movimenti . Tavolini e sedie da bar al piede della torta costringevano i coristi a conquistare un posto aggrappandosi al sipario o a tendere il collo nel tentativo di percepire la bacchetta del direttore. Il coro virile (in frack) portava una flûte in mano per tutta la durata dell’opera, limitando ulteriormente lo spazio vivibile.
E la torta resta lì: granitica troppo avanti, troppo grande, troppo grigia.
La sua superfice è affollata di attori che all’apertura mimano un amplesso multiplo sulle note della Sinfonia, di quinte cesellate a mo’ di elemento gotico Tudor e ricollocate a spinta qua e là per nascondere amanti o creare spazi scenici. E di troni. Quello surreale ‘di carne’ composto dai mimi per la Regina, quello di solido legno per un Re che resta radicato nel proprio potere tirannico. Armigeri con gorgiere iperboliche, elmo e picca chiamati a intimidire un Hervey, armato di pistola in divisa militare del XX secolo.
Less in more.
(foto: Roberto Ricci)
I piani di comunicazione, tanto curati da Donizetti, naufragano sulle scelte costumista e scenografo. L’eleganza dei vestiti anni trenta stride con la figura di un Enrico che certo non appare più regale con una corona di cartapesta e un gessato sotto una pelliccia ecologica lunga fino ai piedi. E anche se l’abito non fa il monaco, Giovanna Seymour deve esprimere tutta la sua sete di potere -nascosta dietro la parola amore – con una vesticciola dismessa troppo corta (l’unica).
Se di cambiamenti ci fosse bisogno per rinfrescare un’opera che pur porta bene i suoi anni, un minimo di coerenza non guasterebbe e forse renderebbe più piacevole la visione.
(foto: Roberto Ricci)
Quanto alla versione musicale dell’opera: i micro-tagli nelle riprese delle cabalette e nelle strette, operati dal maestro Fabrizio Maria Carminati con prudente empirismo, non ne hanno compromesso la leggibilità, grazie anche alla salda professionalità dell’orchestra.
Susanna Migli