A. Vivaldi
REFLECTING THE SEASONS
Vivaldi by Tim Kliphuis Trio & orchestra
Sony 88985352002
ll tempo corre, le cose cambiano.
Non più di qualche settimana fa recensivamo delle Cantate bachiane “without words”.
Questa mattina apro il giornale e leggo un articoletto di questo tenore: “Mozart vende più CD di Beyoncé . Record di vendite discografiche nel 2016 negli USA con il box (200 dischi) dal titolo Mozart 225, messo sul mercato il 28 ottobre scorso, in occasione del 225* anniversario della sua morte”. (notizia riportata anche dalla nostra testata, vedi sezione “attualità”).
Oggi ho nel lettore un CD della Sony che ci propone le Quattro Stagioni vivaldiane improvvisate dal trio di Tim Hliphuis (violinista di formazione accademica, diplomato al Reale Conservatorio di Amsterdam) in stile Gypsy jazz.
Cosa sia il Gypsy jazz forse non tutti lo sanno: ci basti dire che affonda le sue radici nella musica di Django Reinhardt e di Stephane Grappelli, cui spetta la paternità di questa definizione di stile.
Di cosa dunque stupirsi ancora ?
Gli anni dell’Ospedale della pietà sembrano lontanissimi o forse mai esistiti. I profumi e i rumori della calli sono scomparsi, lo sciabordio dell’acqua del Canal Grande vicino a Rialto non esiste più, anche i colori dell’alba in Laguna non riusciamo più a vederli. Al posto di tutto questo c’ è un’altra musica, diversa eppure mai dimentica delle note di Vivaldi. Lontana dalla cultura del ‘700 veneziano eppure, indubitabilmente, sua figlia. E nemmeno tanto illegittima.
Forse, in occasione del prossimo anniversario, sostenuta dal battage mediatico globale, polverizzerà anche le vendite di Lady Gaga o di Rihanna.
Per esprimere un giudizio su questa proposta discografica ci sono in realtà due vie: quella dottrinale, filosofica e filologica, storica ed estetica, e quella, apparentemente più facile, semplice, del gusto personale, del mi piace, si o no, anche bisogna tenere conto che questa opzione vale anche per il “Vivaldi vero” (c’ è sicuramente qualcuno a cui Vivaldi non piace…).
E’ chiaro che nel giudicare bisogna essere onesti e liberi da pregiudizi.
Ma anche sapere e non dimenticare che nella storia dell’evoluzione umana, la porzione di corteccia cerebrale che ci fa “sentire” e “riconoscere” la musica si è sviluppata, già negli ominidi, molto prima di quella del linguaggio. Ciò significa che siamo nati per ascoltare la musica, per fruirne e trarne piacere.
Questo vale per TUTTA la musica, anche quella “bastarda” di Tim Hliphuis e di tutti quelli come lui.
A voi, ora, il giudizio.
Angelo Formenti