“OIR QUARTETT”
Giovanni Perin: vibrafono
Giulio Scaramella: pianoforte
Marco Trabucco: basso
Max Trabucco: batteria
GUEST
Mirco Cisilino: tromba
Tommaso Troncon: sax tenore
ABEAT RECORDS, 2015
Abbiamo già notato con i Venice Connection Quartet, quanto il Veneto sia diventato una fucina di talenti. E proprio collegandomi ad essi, tramite il talentuoso sassofonista Tommaso Troncon, oggi parliamo di un altro quartetto: Oir Quartett.
Il gruppo è composto ancora una volta da giovani: Giovanni Perin (vibrafono), Giulio Scaramella (pianoforte), Marco Trabucco (basso) e Max Trabucco (batteria). In gran parte del disco (omonimo), i quattro vengono affiancati dal già citato Troncon (sax tenore) e da Mirko Cisilino (tromba).
Il disco si apre con “A Sunny Day In Berlin Town”, probabilmente uno dei temi più belli e cantabili scritti dalla nuova generazione di Jazzisti. Dopo l’esposizione del tema il brano prosegue con un’improvvisazione collettiva dei fiati su un pedale, il tutto su un ritmo even-eight dal sapore samba. Il solo prosegue poi sulla struttura del tema lasciando spazio al vibrafono maestoso e ispirato dell’autore per poi richiamare il bellissimo tema ancora una volta prima di salutarci. Senz’altro la parte migliore di questo album molto promettente.
L’atmosfera cambia radicalmente con “La danza della luna”, che si apre con un’oscura introduzione free su pedale prima di lanciare il malinconico tema esposto dalla tromba. Dopo il tema partono i soli di tromba e piano. La band ci mostra l’affinità dei propri membri portando sempre i soli ad una carica emotiva altissima anche quando le idee dei solisti sembrano ancorarsi, regalandoci sempre un senso di sorpresa. Il ritmo è sempre even-eight, i colori sono bui ma non tristi. Le sonorità ricordano il miglior jazz moderno cui fa capo Brad Mehldau.
Subito dopo troviamo il primo (e unico) standard presente nel disco: “I Fall In Love Too Easily”.
Per l’occasione il brano è stato arrangiato da Scaramella il quale, più o meno volutamente, lo ha reso simile nei colori al brano precedente. Anche qui siamo cupi e tetri alla Mehldau. I soli di piano, tenore e tromba rivelano una maturità stilistica impressionante. Non solo dei solisti, ma anche e soprattutto della ritmica che sa sempre dove portare il discorso musicale di chi in quel momento sta comunicando. Ciò viene ampiamente mostrato nel solo collettivo, carichissimo, che chiude l’esecuzione.
Il prossimo è “Conversation with Dave”. Un altro even-eight, ma di tutt’altra natura. Il tema è in gran parte allegro e scanzonato, questo in contrasto con una ritmica solida e scandita basata su un riff. Il primo solo è di tenore, dove il bravissimo Troncon non ci risparmia colpi incoraggiato dal Quartett che lo sostiene e lo guida magistralmente. Poi è la volta di Perin, sempre ispirato e tecnicamente impeccabile. Come previsto, il brano si chiude con una ri-esposizione del tema con un secco finale strappa-applausi.
Ritroviamo di nuovo protagonista Perin col suo vibrafono nel tema di “Rebuilt”, il primo waltz del disco. Una ballad in stile tradizionale che lascia sognare atmosfere e climi appartenenti a un’epoca in cui tutto era bello e nuovo. I club, i ristoranti di lusso e magari anche le sale da concerto Newyorkesi potrebbero essere il recipiente ideale per questo brano denso ed emotivamente appassionato. Dopo un altro bel solo di piano, per la prima volta sentiamo anche un solo di basso, molto sentito anche se non particolarmente brillante. Trabucco infatti lancia subito la palla a Perin che ci dona tutto il suo sentimento.
Voltiamo decisamente pagina con “Terzo piano” che per la prima volta ci fa apprezzare un po’ di swing suonato come si deve. Peccato solo che il tema sia alquanto fastidioso. Nonostante il brano sia del bravissimo Scaramella, la vera star è decisamente Max Trabucco; il quale accompagna i solisti (sax, piano e tromba) in maniera sempre sorprendente senza mai mollare il beat per poi liberarsi in un solo coloristico in netto contrasto con la natura del brano. Il brano si chiude come è iniziato: riff di piano e tema (fastidioso) esposto dai fiati più una coda finale ancora una volta con chiusura strappa-applausi.
“One For Max” ci riporta al lato malinconico e oscuro (even-eight) del gruppo. L’intro è affidato al piano che prepara l’atmosfera in cui si inserisce il basso con un’idea bellissima che purtroppo viene abbandonata in fretta per ridare la parola a Scaramella, che a sua volta passa il testimone al vibrafono di Perin che snocciola note su note nonostante il ritmo storto della ritmica. Stessa sorte spetta poi a Scaramella, che come Perin, non dimostra particolare difficoltà nel far evolvere le proprie idee anche su tempi composti. Come sempre, il brano si chiude con la ripresa del dolcissimo tema iniziale.
Il quartetto/sestetto ci saluta con “Lost In a Violet Sky”, una simil-ballad even-eight dal tono pacifico e disteso. Dopo il primo tema, esposto dai fiati, Perin ci esprime il suo encomio in maniera ancora una volta ricca e profonda. A sorpresa, dopo il solo troviamo un nuovo tema esposto dai fiati che lascia poi svuotare l’organico per permettere a Scaramella di esibirsi in un piano solo degno dei grandi maestri. Moderno ma con un occhio a chi lo ha preceduto in quest’arte. Quando il resto del gruppo rientra l’ambiente cambia ulteriormente: tutti dipingono la tela con il proprio colore prima di riprendere il tema iniziale, chiuso con delle splendide corone.
Tirando le somme, non possiamo gridare al capolavoro, ma di certo possiamo dire di aver scoperto un gruppo davvero interessante che potrebbe farsi strada nel mondo del Jazz. I componenti sono tutti giovani, ma già musicalmente maturi. Forse qualche idea non brilla come altre, ma i livelli di tensione sono sempre alle stelle. Un altro tesoro musicale del Veneto da coltivare, sperando che le istituzioni operino in modo che ragazzi come questi possano proseguire il proprio percorso musicale.
Ognuno coi suoi pregi e i suoi difetti, hanno messo in piedi un organismo che funziona e che non vede l’ora di dire al mondo che la musica è ancora viva! Avanti tutta!
Paolo Andreotti