Teatro alla Scala

17 gennaio 2019

Orchestra Filarmonica del Teatro alla Scala

Dir. Riccardo Chailly

3-stelle-e-mezzo

Riprende a ritmo piuttosto serrato l’esecuzione delle Sinfonie di Mahler per la stagione Sinfonica del Teatro alla Scala che continuerà il mese prossimo con la Quinta. Dopo la Terza di febbraio 2018, Riccardo Chailly si dedica alla Sesta, che alla Scala non si ascoltava dal ritorno di Claudio Abbado nell’Ottobre 2012. Chailly affronta questa sinfonia proprio nei tre giorni precedenti l’anniversario della morte di Abbado, che gli aprì le porte della Scala quando era direttore musicale nel 1978 per una ripresa de I Masnadieri. Nulla vieta quindi di pensare ad un omaggio di Chailly ad Abbado con questo concerto. Si aggiunga il fatto che Chailly solitamente esegue la sinfonia nella versione con prima lo Scherzo e poi l’Andante moderato, come dimostra l’incisione Decca con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, mentre in questa occasione ha preferito la versione con i due movimenti centrali in ordine invertito, proprio come la dirigeva Abbado. L’impatto con la sinfonia è tra i più impegnativi, ritenendola probabilmente la meno accessibile tra le sue sinfonie: forse per la mancata catarsi finale che nelle precedenti era sempre avvenuta, qui sostituita da un poderoso Finale che contiene i due (o tre) colpi micidiali del fato ad abbattere definitivamente l’ascoltatore e Mahler stesso nel suo autoritratto, protagonista, come dice Alma, dell’ultimo movimento.

k61a6925La brutalità della marcia inziale in tempo binario (tutta la sinfonia, ad eccezione dello Scherzo, è in tempo binario), rivela immediatamente la cifra dell’esecuzione di Chailly: percussioni e ottoni usati in modo violento e lacerante. Si tratta probabilmente di un modo per sottolineare la tragicità della partitura, ma che riesce probabilmente a metà funzionando dal punto di vista della massa sonora, ma non dal punto di vista del fraseggio che con questa preponderanza ritmica risulta piuttosto schematico. Il materiale tematico è sovrabbondante e anche la strumentazione è tre le più ricche di Mahler. La versione della sinfonia eseguita questa sera prevede l’Andante moderato al secondo posto, seguito dallo Scherzo: si tratta di una versione transitoria poiché nella prima esecuzione diretta dallo stesso Mahler i due movimenti centrali erano in ordine inverso. Mahler provò a cambiarne l’ordine ma poi tornò alla versione iniziale. Criticità di questa edizione è che la narrazione, passando dal terzo al quarto movimento, non ha quell’impatto drastico e definitivo che avrebbe passando dall’Andante moderato, illusorio e speranzoso, al Finale. La lettura di Chailly lascia qui un po’ di spazio alle emozioni, nei momenti più lirici e di slancio sebbene non ci sia libertà di fraseggio e tutto sia metricamente controllato. Buono il solo del primo corno, che nel primo movimento aveva mostrato qualche esitazione. Segue lo Scherzo che riporta il ritmo a protagonista: si tratta sempre di un ritmo di marcia, ma un po’ zoppicante dato il tempo di 3/8. L’orchestra, come nel primo movimento, non dà il meglio di se soprattutto negli archi scuri: la sezione dei violoncelli è slegata e in qualche occasione ha problemi d’insieme anche con i contrabbassi. Dopo una lunga introduzione ricca di inquietanti presagi riparte nuovamente una marcia che qui, nel quarto movimento, acquista chiaramente la sembianza di una marcia al supplizio, di una corsa sfrenata verso l’inevitabile; si quieta solo con una parentesi chiaramente illusoria, ma inaspettata e per questo inizialmente gradita. Di nuovo la compattezza degli archi bassi crea qualche problema a Chailly, che come sempre dirige con un gesto elegante e chiarissimo. Rispondono invece impeccabilmente le trombe, i tromboni e i legni. Dopo i due fatidici colpi di martello (ahimé non tre come voluti e poi cancellati da Mahler), fin troppo teatrali tanto da creare brusio tra gli ascoltatori che si dicono a vicenda “guarda il martello” indicandolo, giunge una preghiera di morte degli ottoni gravi. Un ultimo grido di disperazione con l’accordo conclusivo a piena orchestra che dal fortissimo scema al pianissimo sotto i perentori colpi del timpano, fino a giungere ad un surreale silenzio interrotto solamente dal pizzicato degli archi come un singhiozzo di chi, da spettatore, ha assistito a questa grande tragedia umana.

Luca Di Giulio