Das himmlische Leben

Stresa 29 agosto 2018

5 stelle

Tappa italiana intermedia di un Tour che è iniziato a Ravello e che si concluderà a Merano toccando Londra, Santander e San Sebastian, la Budapest Festival Orchestra si presenta al Festival di Stresa sotto la guida del suo Fondatore e Direttore Musicale Ivàn Fischer. Il nutrito programma della serata prevede il Prélude à l’unisson dalla Suite per Orchestra op.9 di George Enescu, la Musica per archi, percussioni e celesta di Béla Bartók e a conclusione del concerto la Sinfonia n.4 di Gustav Mahler con il soprano Christina Landshamer. Insolita e tra le meno note pagine del compositore rumeno Enescu, già poco familiare ai cartelloni e al pubblico italiano, il Prélude à l’unisson è una pagina molto interessante e godibile, primo movimento della Suite per Orchestra n.1 op.9 del 1903. Il brano intreccia un inizio quasi wagneriano con elementi folklorici rumeni e propone una scrittura che a tratti anticipa di qualche decennio il minimalismo. Gli archi della Budapest Festival Orchestra affrontano il brano con grande intensità, varietà di colori e precisione. Composta nel 1937 su commissione dell’Orchestra da camera di Basilea, la Musica per archi, percussioni e celesta è da considerarsi tra le composizioni più significative di Béla Bartók; essa accoglie i processi compositivi adottati specialmente nel Quarto e nel Quinto Quartetto per archi, sviluppando, attraverso la disposizione ‘stereofonica’ della doppia orchestra d’archi (al centro della quale si vogliono collocati i restanti strumenti), il principio della “spazialità” del suono. Il primo movimento “Andante tranquillo” è costruito come un grande fugato basato su un caratteristico tema cromatico che costituirà il fondamento dell’intera composizione; il secondo movimento “Allegro”, in forma sonata, sviluppa le possibilità costruttive del tema, utilizzato nei suoi segmenti costitutivi. Il terzo movimento “Adagio” è la chiave espressiva della composizione; vero studio di timbri è una di quelle musiche notturne nelle quali Bartók sembra registrare le pulsazioni più profonde del mondo naturale. Il movimento finale “Allegro molto” dissipa le brume notturne attraverso una vivacissima dialettica tematica e ritmica, nella quale emergono in piena luce le componenti folkloriche del linguaggio bartokiano. La lettura di Fischer di questo capolavoro è sicuramente poco convenzionale. Si discosta dalle letture taglienti e aspre che siamo stati abituati a sentire, ma anche dalle letture troppo romanticizzate. Rimane quindi in una difficile via di mezzo che rinnega l’asprezza e il romanticismo e accoglie una linea interpretativa asciutta, ma non per questo fredda, fatta di bel suono, ma anche di momenti rudi e meno elevati. L’aspetto che stupisce di più tuttavia è la libertà di fraseggio che concede all’orchestra nonostante la composizione sia molto complessa e delicata dal punto di vista ritmico.

sub-fischer-master1050

Il pubblico tributa già alla fine della prima parte un’ovazione all’orchestra e al M° Fischer costringendolo ad uscire più volte e a fare alzare svariate volte, le prime parti e le sezioni dell’orchestra. Nella seconda parte si fa largo la Quarta sinfonia di Gustav Mahler composta da Mahler tra il 1892 e il 1900, che potrebbe benissimo reggere un programma da sola, ma che con Ivàn Fischer sono sempre stato abituato a trovare a conclusione di programmi corposi: nel 2008 con la Leggenda op.59 n.10 di Dvořák e la Suite op.20 dell’Uccello di Fuoco di Stravinskij, nel 2015 alla Scala con le Scene ungheresi e il Concerto per pianoforte n.3 di Bartók e in questa occasione con Enescu e Bartók. Ad unirsi alla Budapest Festival Orchestra per questa sinfonia il soprano Christina Landshamer, monacese classe 1977. Fin dal principio della Quarta si capisce che l’ascoltatore dovrà fare i conti con l’acustica della sala: il suono dei campanelli iniziali, almeno per il pubblico delle prime file tra le quali sono seduto, sembra venire da dietro le quinte, sembra mancare di proiezione di suono e questo problema si ripresenterà per vari strumenti più volte durante l’intera sinfonia. Fischer e la Budapest Festival Orchestra sembrano però non farne un dramma e cercare di risolvere il più possibile alcuni aspetti acustici senza però scendere a compromessi dal punto di vista interpretativo: i pianissimi ppp e pppp scritti in partitura, che si presenteranno più avanti, saranno rispettatissimi arrivando perfino ad essere coperti a tratti dal rumore dell’impianto di aerazione della sala. Fischer non si scoraggia e ricambia gli spettatori fin dalla prime battute con un’esecuzione degna di essere ricordata. L’aspetto che più colpisce fin da subito è la libertà che lascia agli esecutori, e parlando a fine concerto con alcuni professori d’orchestra tutti confermano felici, e l’incredibile elasticità nella scelta dei tempi. Il primo movimento “Bedächtig, nicht eilen, recht gemächlich” (Riflessivo, non affrettato, abbastanza comodo) presenta un’ambientazione campestre ed è quello dove la bacchetta di Fischer incide di più dal punto di vista interpretativo insieme al terzo. Il susseguirsi di temi, episodi, idee è molto ricco e Fischer ha una sensibilità particolare nella scelta dei colori e nel variare di volta in volta il fraseggio. La Budapest Festival Orchestra lo segue con grande elasticità e mette in evidenza la grande caratura dei suoi componenti: ottimi i legni: primo oboe e fagotto su tutti, ma anche flauto e clarinetto e prima tromba. Il secondo tempo, “Im gemächlicher Bewegung” (Con movimento tranquillo, senza fretta) mette in evidenza invece la solidità del primo corno che prende fisicamente posto tra il direttore e il primo violino come se fosse il solista di un concerto. La scrittura di questo Scherzo è concertante: il corno e il violino di spalla, che suona due strumenti diversi di cui uno accordato un tono sopra rispetto all’orchestra, sono protagonisti del discorso musicale. Segue il movimento lento “Ruhevoll” (Calmo), il più lungo della sinfonia. Qui nuovamente la mano di Fischer ha un impatto decisivo. Dove solitamente i direttori cercano un effetto emotivo con il pubblico fin dalle prime note, Fischer invece crea un percorso, come già aveva fatto mesi prima alla Scala con l’adagio conclusivo della terza sinfonia di Mahler, costruendo una lunghissima climax e portando il pubblico all’esaltazione estatica della fine del movimento. Il tempo conclusivo, “Sehr behaglich ‘Das himmlische Leben’” (Molto comodamente “La vita celeste”) introduce la voce femminile, anche se sappiamo che Mahler avrebbe preferito una voce bianca. Qui la scelta del soprano Christina Landshamer pare poco azzeccata proprio per questo motivo: il timbro non è particolarmente chiaro e quindi poco ‘celestiale’ e l’emissione fin troppo corposa e solida, materica. Tuttavia la Landshamer possiede una buona tecnica e un’intonazione corretta. Fischer dal canto suo accompagna la solista mirabilmente fino alla sussurrata conclusione della sinfonia. Grandi applausi e grida di entusiasmo per tutti gli artisti che dopo svariate uscite concedono un brevissimo bis. Come più volte ci ha abituato la Budapest Festival Orchestra, questa compagine sinfonica ha nascosti tra le sue fila dei meravigliosi coristi tanto da poter fare come bis parte (dall’attacco del coro fino alla fine) del Laudate Dominum di Mozart dai “Vesperae solennes de confessore” K.339: parte dell’orchestra suona, parte dell’orchestra canta e ancora una volta la Budapest Festival Orchestra ci convince di aver assistito ad un piccolo miracolo musicale.

Luca Di Giulio