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Non è certo il solito manuale di storia della musica quello scritto da noto musicologo Raffaele Mellace.

Concepito per l’appassionato non musicista, ma perfettamente adatto anche agli studenti di università e conservatori, il libro propone una narrazione avvincente, sintetica e ricca di dettagli del periodo centrale della musica occidentale, cuore del repertorio concertistico, operistico e discografico. Innovativo per taglio e struttura, il volume offre uno strumento accessibile e scientificamente affidabile che esplora percorsi biografici e creativi, generi, forme e stili, indagando significato, origine e contesto dei fenomeni musicali.

Qualsiasi italiano di media cultura è stato esposto, in un’età estremamente ricettiva, alla narrazione in forma storica d’una serie di fenomeni culturali tra i più significativi. Il confronto con le storie della letteratura, della filosofia, dell’arte avrà fatto maturare nello studente qualche acquisizione fondamentale: il nesso arte-società, la relazione tra decorso storico e linguaggi artistici, l’idea d’uno sviluppo stilistico (pur non teleologico) alimentato da un determinato contesto storico-culturale, la disposizione dei fenomeni artistici lungo un asse diacronico, la percezione che la storia non sia semplicemente passata ma che essa coesista ancora oggi col nostro presente. Per la musica, a causa innanzitutto dell’inadempienza colpevole della scuola italiana, tutto ciò non sarà avvenuto; con la conseguenza che la disciplina dovrà di norma accontentarsi d’un approccio estemporaneo e acritico, quasi si trattasse di un’esperienza effimera da consumarsi rigorosamente a occhi ben chiusi.

Poiché invece la musica non è fenomeno essenzialmente diverso dalla letteratura o dalla pittura, il godimento dei suoi piaceri non potrà che giovarsi d’una conoscenza delle ragioni che hanno presieduto alla genesi di capolavori remoti per tempo, spazio e contesto culturale. Comprendere le circostanze dell’esperienza creativa di Bach non è infatti meno importante che familiarizzarsi con la Firenze di Dante o la Roma di Michelangelo, così come un ascolto sprovveduto della Passione secondo Matteo non risulterà meno problematico che leggere la Divina Commedia senza l’ausilio di note o accostarsi alla Cappella Sistina senza alcuna cognizione teologica. Vale ancora oggi, ben più di allora, l’avvertimento lanciato nel remoto 1940 da Stravinskij a conclusione delle lezioni americane raccolte nella Poetica della musica:

«La propagazione della musica con tutti i mezzi è di per sé cosa eccellente; ma a diffonderla senza precauzioni, proponendola sconsideratamente al grande pubblico che non è preparato a sentirla, si espone questo stesso pubblico alla più temibile saturazione. […] Oggi la radio porta la musica a domicilio ad ogni ora del giorno e della notte, esonerando l’uditorio da qualsiasi altro sforzo che non sia quello di azionare un pulsante. Ora, il senso musicale non si può acquisire né sviluppare senza esercizio. Nella musica come in tutte le cose l’inattività porta all’anchilosi, all’atrofia delle facoltà. Così ascoltata, la musica diventa una specie di stupefacente che, lungi dallo stimolare lo spirito, lo paralizza e l’abbruttisce».

Premesso dunque che anche della musica è meglio parlare piuttosto che tacere (cioè che, per apprezzarla più profondamente, sarà bene tradurne per approssimazione in linguaggio verbale il significato, indagare origini e contesto dei fenomeni musicali), questo libro la racconta in forma di storia, attraverso alcune scelte precise – per taglio, oggetto e destinatari – che lo differenziano da altre storie della musica. Innanzitutto si offre come testo concepito per una lettura continuativa, che della storia della musica occidentale propone una narrazione, in termini analoghi alle altre discipline prima menzionate. Si presta sicuramente anche allo studio e alla consultazione per singoli capitoli o sezioni, ma la sua vocazione originaria è la visione d’insieme, sintetica e accurata al tempo stesso.