Teatro alla Scala
concerto Sinfonico
G. Mahler, Sinfonia n. 3
Gerhild Romberger,
Dir. Riccardo Chailly
Composta nel 1896 la Terza Sinfonia di Gustav Mahler è senza dubbio la più impegnativa ed imponente delle nove portate a compimento dal compositore boemo e, dicono gli studiosi, la più lunga di tutta la storia della musica. Lo spiegamento di mezzi è quello delle grandi occasioni: orchestra imponente con tutti i legni a quattro, con la presenza addirittura di un quinto clarinetto, otto corni, quattro trombe e quattro tromboni, tuba, due timpanisti, otto percussionisti, due arpe e una enorme massa di archi. A questa orchestra si aggiungono un coro femminile, un coro di voci bianche e un contralto solista. Dal punto di vista strutturale la sinfonia è divisa in sei movimenti raggruppati in due parti: la prima è formata solo dal primo movimento mentre la seconda dai rimanenti cinque. Come per tutte le prima quattro sinfonie Mahler aveva previsto inizialmente dei sottotitoli per ogni movimento che potessero orientare durante l’ascolto, poi rimossi prima della pubblicazione nel 1898:
I – Pan si risveglia, arriva l’estate
II – Quello che mi raccontano i fiori del prato
III – Quello che mi raccontano gli animali della foresta
IV – Quello che mi racconta l’uomo
V – Quello che mi raccontano gli angeli
VI – Quello che mi racconta l’amore
Da questi titoli si comprende come l’intento di Mahler fosse quello di creare una sorta di sinfonia cosmogonica: si parte dalla natura in generale (l’estate) attraverso il mondo vegetale, quello animale, l’uomo, le creature celesti per giungere al Divino.
Questa sinfonia si lega a stretto filo con la storia del Teatro alla Scala e con la carriera di Riccardo Chailly, come spiega in una video intervista apparsa sui canali social del Teatro in prossimità di questo concerto: Dmitri Mitropoulos morì durante le prove di questa sinfonia proprio sul podio della Scala nel 1960, il M° Chailly la ascoltò per la prima volta diretta da Claudio Abbado negli anni settanta quando Abbado diresse l’integrale delle sinfonie di Mahler ed infine, per il suo significato di genesi, cosmogonico, fu scelta da Abbado per il primo concerto della neonata Filarmonica della Scala nel 1982.
Veniamo ora all’esecuzione. La tensione del pubblico per l’incipit della sinfonia era palpabile ancora prima che l’orchestra salisse sul palco per accordare gli strumenti. L’attacco perfetto degli otto corni all’unisono con il perentorio tema iniziale rompe il ghiaccio e apre al pubblico questo enorme vaso di pandora che è la sinfonia ed in particolare il lunghissimo, circa 35 minuti, primo movimento. Tutto il discorso musicale qui funziona per giustapposizione di episodi e molte prime parti vengono impiegate in momenti solistici: un mesto episodio di marcia funebre con un intensissimo intervento interrogativo delle prima tromba Marco Toro, un solo del primo violino Francesco Manara e sul ripresentarsi del ritmo di marcia funebre un perentorio solo del primo trombone Daniele Morandini, e poi il primo oboe Fabien Thouand. Chailly, grande mahleriano, si trova perfettamente a suo agio nelle grandi dimensioni e nella complessità di questa sinfonia. Il taglio interpretativo è subito ben chiaro: grande attenzione per le enormi masse orchestrali, per i forti ed i fortissimi sempre molto curati e bilanciati dal punto di vista dell’insieme e pochi momenti di indugio in pianissimi, che giungeranno poi, intensi e cesellati, con il canto del contralto Gerhild Romberger. Chailly inoltre non indugia molto in dilatazioni e contrazioni di tempo eliminando gesti retorici non scritti e cercando, come il pubblico scaligero ha potuto notare in molte serate operistiche e sinfoniche di Chailly, di rimuovere dall’esecuzione quelle consuetudini interpretative che negli anni si sono affastellate sulle partiture.
Al termine del primo movimento Chailly abbandona il podio rimanendo in piedi a fianco di esso per la pausa prescritta in partitura tra prima e seconda parte.
Il secondo movimento è un garbato Minuetto, con molti ottimi interventi dei legni: Andrea Manco, primo flauto, il già citato Thouand a cui è affidata la mirabile enunciazione del tema principale, Mauro Ferrando primo clarinetto e Valentino Zucchiatti primo fagotto.
Lo scherzo che segue è la rielaborazione di una pagina di Des Knaben Wunderhorn. Mahler riempie il brano di suoni di uccellini. Si riconosce bene per esempio il cuculo affidato al clarinetto. Questa pagina bucolica ha però un risvolto grottesco ben colto da Chailly: Mahler parte dal verso degli uccelli presentati come cose graziose poi, accentuando una cadenza, esasperando un ornamento, al posto dell’uccellino ti trovi un mostro, un incubo. Il colpo di genio del compositore boemo giunge con l’episodio del Posthorn che deve suonare “come da grande distanza”. La scelta di Chailly è perfetta ed emozionante: il postiglione suona nel foyer d’ingresso sorprendendo la platea con questo avvolgente suono alle spalle. Il momento è quello poeticamente più elevato e intenso di tutta la sinfonia e Marco Pierobon a cui è affidata la parte del postiglione non delude le aspettative eseguendola con un suono morbido e caldo, con sensibilità e abilità strumentale.
Nel quarto e nel quinto movimento vengono finalmente impiegate le due compagini corali e il contralto solista. Il primo dei due è un Lied per contralto e orchestra. Il colore scuro e la voce di velluto di Gerhild Romberger sono una delle migliori scelte possibili per questo repertorio e l’intensità interpretativa e la cura esecutiva che la cantante tedesca mette in questo concerto lo confermano indubbiamente. Chailly si concede a sonorità più morbide e la cura dei piani sonori e la finezza dei pianissimi sono davvero esemplari, a sprazzi fin troppo perfetti da far sembrare il movimento eccessivamente controllato e quasi un po’ freddo. Solo un intervento poco preciso dei corni ad inizio movimento sporca per un instante l’esecuzione. Nel quinto movimento il coro femminile intona un Lied con il contralto mentre le voci bianche imitano, alternati o all’unisono, i rintocchi delle campane.
Dopo l’ultimo rintocco c’è l’attacco dell’ultimo movimento dove le voci tacciono di nuovo. Gli archi intonano un tema semplice e struggente. Mahler come già nelle prime due sinfonie, così poi come sarà anche nella quinta, concepisce dal punto di vista drammaturgico l’ultimo movimento come un unico enorme climax: l’ascoltatore viene lentamente rapito fino ad essere sollevato dal proprio posto e portato fisicamente in trionfo con tutta l’orchestra nelle affermative battute conclusive. Qui Chailly forse si fa prendere un po’ dall’ansia usando tempi metronomici a tratti un po’ affrettati e rinunciando a respirare su alcune pause che hanno un ruolo narrativo importante all’interno della sinfonia.
Il pubblico scaligero, al termine dell’accordo finale, esplode in un’ovazione riconoscendo a Chailly, a Gerhild Romberger, all’orchestra e ai cori grandi apprezzamenti. Meritatissimi e più calorosi sono stati gli applausi tributati al Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala guidate dal Maestro Bruno Casoni.
Luca Di Giulio