Società del Quartetto
Martedì 30 gennaio 2018
J.S. Bach – Concerti Brandeburghesi (completi)
Fabio Biondi & Europa Galante
Non capita davvero di frequente di poter assistere a un’integrale dei concerti Brandeburghesi in un unico concerto. Brani famosi, certo, e anche iper-incisi, i quali tuttavia hanno sicuramente una tradizione esecutiva maggiore – come sembra del resto ovvio essere – in Germania che non in Italia. Ecco che invece, a distanza di pochi mesi, Milano ha proposto due stupende integrali e lo ha fatto proponendo al pubblico due fra i maggiori ensemble di musica antica: il Giardino Armonico e Europa Galante. Il primo è stato protagonista di un concerto di ferragosto presso il Teatro dal Verme, un vero e proprio concerto-evento gratuito, eccezionale per il momento in cui è stato proposto (una volta a ferragosto il capoluogo lombardo era un deserto dei Tartari). Il secondo lo abbiamo ascoltato la sera di martedi’ 30 gennaio, in Sala Verdi del Conservatorio per la stagione di Società del Quartetto. Una serata “sold out” che ha fatto la felicità dei moltissimi appassionati accorsi per ascoltare Fabio Biondi e i suoi musicisti, da poco reduci da una turnè negli Stati Uniti (chi frequenta facebook puo’ facilmente seguire i loro spostamenti in giro per il mondo). Occasione da non lasciarsi fuggire dunque, per vedere all’opera dal vivo uno dei gruppi italiani piu’ richiesti del momento, che sta portando avanti un lavoro di ricerca sulla prassi esecutiva dell’ottocento operistico e strumentale davvero interessante. Il concerto proponeva dunque tutti i sei Concerti Brandeburghesi di J.S. Bach, capolavori di sintesi stilistica e ricerca timbrica. Ognuno dei sei concerti presenta, infatti, un organico differente. Esecuzione impeccabile da parte di Biondi, che si è cimentato anche con la viola. Tutti sono solisti e al tempo stesso orchestra. Tutti per uno, uno per tutti, come si dice in questo caso e la regola con i Brandeburghesi è valida piu’ che in altre composizioni.
La lettura offerta da Europa Galante non ha mostrato particolari eccessi, proponendo invece un’interpretazione potremmo dire piuttosto “tradizionale” di queste pagine. Accattivanti alcune nuances di Biondi con improvvisi ritardandi: una lettura dell’insieme davvero notevole da parte del violinista siciliano, capace di reggere una serata della durata di piu’ di due ore, nella doppia veste di solista, direttore e concertatore. Una prima osservazione riguarda la scelta della sequenza dei concerti, che non ha rispettato quella numerica: non mi ha convinto e iniziare con i concerti n. 3 e 6 è risultato un poco faticoso. Terminare con il n. 1 (probabilmente il piu’ famoso della raccolta, assieme al quinto, che ha invece aperto la seconda parte del concerto) è invece parsa una scelta felice. Un plauso a tutti i solisti: flauti dolci, traversiere (un ottimo Marcello Gatti), la tromba (stonatella purtroppo, ma strumento difficilissimo), i corni (piuttosto intonati, invece) e un plauso alla cembalista, Paola Poncet, mirabile interprete del basso continuo chiamata al ruolo da protagonista nel meraviglioso quinto concerto, reso ancora piu’ impegnativo e indimenticabile dall’ampia cadenza del primo movimento, eseguita con grinta ma al tempo stesso con grande raffinatezza. Seconda e ultima riflessione: al di là della tremenda scomodità delle poltrone della Sala Verdi (per chi sia alto più di 1 e sessanta) mi domando: non sarebbe meglio organizzare questi eventi di musica antica in luoghi più adeguati, cioè una Chiesa e una Basilica? Milano da questo punto di vista offre molte scelte e molti di questi concerti di Società del Quartetto sono stati organizzati proprio in questi luoghi in passato. Capisco che possa essere difficile poter rinunciare all’idea di un luogo caldo e accogliente, soprattutto durante la stagione invernale, ma quello a cui questi strumenti non possono proprio rinunciare è un palcoscenico sonoro che possa restituire loro quella dimensione oggi purtroppo perduta, che una moderna sala da concerto, seppur acusticamente adeguata, non è in grado di restituire.
Gabriele Formenti