5 Aprile 2017 – Accademia Filarmonica Romana
Roma Pontificio Istituto di Musica Sacra
Giovanni Bononcini “La Conversione di Maddalena” (1701)
Concerto Romano
Francesca Aspromonte soprano Maria Maddalena
Lucia Napoli mezzosoprano Amor Divino
Helena Rasker contralto Marta
Mauro Borgioni baritono Amor Terreno
Concerto Romano
Direzione e concertazione Alessandro Quarta
Mercoledì 5 Aprile si è tenuta nella Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra nell’ambito della programmazione dell’Accademia Filarmonica Romana una esecuzione dell’Oratorio di Giovanni Bononcini – La Conversione di Maddalena – scritto nel 1701 per Leopoldo I d’Asburgo , il più melomane fra tutti gli appasionati musicofili imperatori d’Austria, anch’esso compositore soprattutto di oratori sacri per i famosi Sepolcri che si tenevano a Corte a Vienna durante la settimana Santa, in particolare il Venerdì Santo.
Giovanni Bononcini era nato a Modena il 18 luglio 1670 da Giovanni Maria anch’esso ottimo compositore e violoncellista ed istruito dal padre allo strumento, per poi completare la sua istruzione e pratica strumentale a Bologna con G.P. Colonna che lo introdusse anche all’arte del contrappunto. Nel 1686 entrò a far parte dell’Accademia Filarmonica di Bologna, e tra il maggio 1688 e 89 fu cantore e violoncellista alla Cappella di San Petronio a Bologna e nel 1687 maestro di cappella della chiesa bolognese di S. Giovanni in Monte. Dopo il 1689 passò a Roma presso la cappella del cardinale Pamphilj in qualità di violoncellista e vi rimase fino al 1696, avendo comunque dal cardinale ampia possibilità di movimento vista la sua attività a Modena , Bologna e Milano. Nominato dall’Imperatote Leopoldo I d’Asburgo compositore di corte con il congruo stopendio di cinquemila fiorini l’anno, vi rimase a lungo, inframmezzando il soggiorno viennese con impegni importanti a Berlino e a Londra. In quegli anni, durante il lungo soggiorno di dieci anni a Vienna, fu all’apice della sua carriera e della sua fama europea come compositore e violoncellista, richiesto nelle più grandi capitali soprattutto Londra, dove esplose la sua rivalità con il ben più giovane Handel. La sua carrierà continuò tra vicende dal sentore anche politico fino al 1747, dove si spense in miseria a Vienna pur avendo chiesto all’imperatrice Maria Teresa un sussidio in ricordo del suo passato servizio a corte, ma completamente solo e dimenticato.
La Conversione di Maddalena, secondo oratorio dedicato a questo soggetto, infatti nel 1690 a Modena era stata composto lo splendido oratorio La Maddalena ai piedi di Cristo, ripreso dieci anni dopo da Caldara, è un sontuoso oratorio per quattro voci , due soprano, un contralto e un basso, tutti interpretati da cantanti maschili, di altissimo rango, e da un complesso strumentale molto importante, limitato agli archi, ma abbastanza articolato da formare una dialettica concertante fra un concerto grosso e un concertino, con pagine solistiche per violino, primo e secondo, violoncello e viola da gamba. Almeno per un quarto di secolo ebbe un grandissimo successo tanto da essere più volte replicato non solo a Vienna ma a Roma, Firenze e Bologna.
L’oratorio di Bononcini è dedicato ad una delle figure più emblematiche della agiografia cristiana, Maria Maddalena, personaggio complesso e dalla lettura ambigua, per il modus stesso con il quale l’iconografia sacra volle rappresentarlo.
L’immagine di Maria Maddalena deriva dall’interpretazione di Gregorio Magno che fuse in lei due figure diverse: quella della donna che unse i piedi di Cristo nella casa di Simone il Fariseo e quella della sorella di Marta di Betania, che profumò il capo e i piedi di Gesù aprendo per lui un vaso di unguento prezioso. Essendo una figura in qualche modo doppia appare in numerosi episodi evangelici dei quali il più importante è sicuramente quello dell’incontro nell’orto con Cristo dopo la Resurrezione, prima persona a vedere il Risorto.
Ma è l’episodio della cena nella casa del Fariseo che suggerì agli iconografi le immagini più suggestive della santa. Maria di Magdala, peccatrice e donna dal passato lussurioso, si gettò ai piedi di Cristo, bagnandoli con copiose lacrime, asciugandoli con i lunghissimi capelli e ungendoli di unguento profumato, chiedendogli perdono per i suoi peccati e dedicandogli il resto della sua vita di penitenza.
Tutte le prime raffigurazioni della santa, in particolar modo a partire dal Quattro-Cinquecento italiano, fino al pieno barocco, ci offrono di Maria Maddalena una visione di grande ambiguità. Vestita degli abiti più sontuosi, avvolta nei suoi meravigliosi capelli che sono uno dei suoi maggiori attributi iconografici, si mostra in un atteggiamento di grande sensualità che in lei ricorda molto più la peccatrice che la penitente. Caravaggio, raffigurandola quasi affranta in melanconica meditazione, non ci nasconde, anzi esalta la bellezza della fanciulla e le sue ricche vesti, anche se ai suoi piedi giacciono abbandonati i gioielli della passata vita di piacere e dissennatezza. Infatti è con l’inizio del ‘600 che l’immagine della santa assume su di se anche le sembianze di una vera e propria vanitas. A fronte di sue immagini più severe e penitenziali come nel Barocco francese, risponde la visione del Barocco italiano e in particolar modo di Guido Cagnacci, pittore emiliano di quadri “da stanza” della fase centrale del ‘600, che trasuda una sensualità dalla forza dirompente, in dipinti dove Maria Maddalena in estasi, pur meditando sul teschio simbolo della morte e con il cingolo penitenziale, si mostra con il busto nudo e in un atteggiamento vagamente perverso, che ricorda il momento del massimo piacere e dell’assoluta perdita di coscienza che ne deriva, il confine tra massimo appagamento dei sensi e travolgente resa al dominio del sovrannaturale e del divino. Anche in musica, valga per tutte la Maria Maddalena dell’oratorio La Resurrezione di Handel, che si mostra con parole e atteggiamenti più da amante, che di discepola, nei confronti del Cristo, la componente sensuale è dominante e si percepisce l’esigenza di vedere nella santa il personaggio che più di ogni altro può manifestare la difficile scelta del cristiano fra piacere e virtù.
E’ questa la particolare scelta dell’anonimo librettista della Conversione di Maddalena caratterizzata dal dialogo serrato fra quattro personaggi, due reali, Maddalena e la sorella Marta, e due allegorici Amore Divino e Amor Terreno, in una sorta di versione moralizzata della storia agiografica della Santa.
Purtroppo nella pur splendida esecuzione romana la mancanza del libretto nelle note informative di sala, rendeva un pò arduo il seguire l’estremo conflitto fra le due sorelle l’una Maddalena che incitata da Amor Terreno, non vuole lasciare i piaceri della vita, e Marta supportata da Amor Divino che invece ricorda, come in una Vanitas, la fine della Bellezza e del Piacere legato ad essa, invitandola alla conversione.
La straodinaria scrittura musicale rendeva però possibile seguire le dialettiche contrapposte anche aspramente fra i quattro diversi personaggi, in un continuo chiaro-scuro di Affetti spesso esacerbati dalla difficoltà della scelta di Maddalena. Dal punto di vista musicale è un vero capolavoro. Conoscendo bene quello del 1690 ed apprezzandolo già enormemente per la bellezza delle arie, questo più tardo dimostra una maturità compositiva maggiore. Intanto il complesso di archi di eccezionale ampiezza ci restituisce delle pagine strumentali nelle due sinfonie, in apertura della prima e seconda parte, di una straodinaria ricchezza e complessità. Le arie tutte con il da capo sono assolutamente meravigliose, alcune accompagnate da strumenti solisti come quella di Marta nella seconda parte senza basso continuo e solo i due violini primo e secondo a dialogare con la voce, creando un momento di ieratico e quasi metafisico misticismo. Interessantissimo questo personaggio di Marta, assente nell’oratorio del ’90, per vocalità e intensità, a cui risponde una Maddalena al contrario, soprattutto nella prima parte, tutta su toni maggiori e di travolgente sensualità, leggiadra e virtuosa, mentre nella seconda parte la struggente e patetica armonia dei suoi fraseggi ben si prestano a descrivere il conflitto e dramma intimo nella ricerca serrata di movere gli Affetti verso la scelta finale dell’abbandono alla conversione in Cristo.
Una esecuzione magistrale quella del direttore Alessandro Quarta, dell’Ensemble musicale e del cast da lui composto per dar vita a questo straordinario Oratorio.
A cominciare dagli interpreti strumentali dal violino primo eccezionale di Paolo Perrone, al secondo di Gabriele Politi e al terzo di Antonio De Secondi, impegnati anche come detto in parti solistiche di notevole intensità interpretativa. La fuoriclasse violoncellista Rebeca Ferri offriva allo strumento cardine dell’oratorio degli accenti di tale bellezza da rimanere assolutamente estasiati, così come il liuto di Francesco Tomasi e il cembalo di Andrea Bucarella. Bravissime per altro tutte le altre seconde parti dei violini, le viole e la viola da gamba di Andrè Lislevand. Un complesso eccezionalmente vasto di otto violini, tre viole, una viola da gamba, violoncello, contrabbasso, liuto, cembalo ha dato una ricchezza timbrica e lussuosa come è sempre più raro ascoltare.
Il cast è stato superlativo: Francesca Aspromonte si conferma ancora una volta interprete di grandissima valenzia e bravura, i suoi accenti or aggraziati or patetici, la sua bellissima voce che va maturando in un timbro sempre più sensuale e profondo, la sua virtuosità ed estensione quando si lancia nelle colorature soprattutto nelle arie della prima parte, ne fanno non più una promessa come mi era già capitato di affermare, ma una assoluta certezza nel panorama attuale barocco, sono sempre più convinta che da lei sentiremo delle eccellenze anche in repertori più impegnativi settecenteschi, mentre per il momento sembra ancora ancorata a quello del primo barocco. Di Mauro Borgioni apprezzo sempre il bellissimo e scuro timbro baritonale, la sicurezza nelle agilità e la virile compostezza delle sue interpretazioni. Due assolute sorprese sono state il mezzosoprano Lucia Napoli, allieva di Sara Mingardo che avevo già apprezzato nell’ultimo lavoro di questa Se con stille frequenti, una voce di mezzo dal bellissiso timbro, una estensione e proiezione della voce magistrali, bellissime le sue interpretazioni molto impegnative di Amor Divino. Ma a sorprendere ancora di più è stato il contralto Helena Rasker, dal timbro contraltile scurissimo, che nelle sue arie in gran parte patetiche e in toni minori, dava sublimi interpretazioni come nella splendida aria a cui accennavo accompagnata dai soli violini. Difficile ascoltare una tale aria e una tale interpretazione senza avere i brividi.
Di Alessandro Quarta ormai ho già detto in altre sedi tutto il bene possibile. Si conferma direttore esemplare in questo repertorio oratoriale seicentesco, l’attenzione ai tempi, serrati e nella prima parte talvolta danzanti, l’accorato patetismo scelto per la seconda parte che non indulge però mai nella lentezza, la capacità di trattare efficacente la scrittura splendida di Bononcini di una grande varietà timbrica, ne fanno ormai una assoluta figura di riferimento in questo repertorio che ha sempre più bisogno di riscoperte e esecuzioni dei numerosissimi ahimè ancora inediti, in particolare delle opere di questo enorme autore del Sei-Settecento italiano ingiustamente dimenticato.
Isabella Chiappara Soria