Passioni napoletane e romane
Gaetano Veneziano
“Passio”
La Passione Secondo Giovanni Napoli 1685c
Raffaele Pe – Luca Cervoni – Marco Bussi
Ghislieri Choir diretto da Giulio Prandi
Cappella Neapolitana
Antonio Florio direzione
Glossa 2016 GCD922609
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Bernardo Pasquini
“La Sete di Christo”
Passion Oratorio (1689)
libretto di Nicolò Minato
Francesca Aspromonte – La Vergine
Francisco Fernandez -Rueda – San Giovanni
Luca Cervoni – Giuseppe d’Arimatea
Mauro Borgioni – Nicodemo / Christo
Concerto Romano
Paolo Perrone Gabriele Politi violini
Pietro Meldolesi viola
Marco Ceccato violoncello
Giovanni Battista Graziadio oboe
Matteo Coticone violone
Giangiacomo Pinardi arciliuto
Andrea Damiani
tiorba
Michele Vannelli Clavicembalo
Andrea Buccarella organo
Alessandro Quarta direzione
Chistophorus CHR 77398
Il caso ma soprattutto il comune desiderio di molti gruppi musicali italiani che si dedicano da anni alla ricerca sulla musica barocca nei vari centri della nostra penisola ha portato all’ uscita quasi in contemporanea di due esecuzioni sul repertorio quaresimale in due città chiave per la musica del nostro paese : Roma e Napoli. Si tratta di due opere inedite e rarissime: una di Bernardo Pasquini del quale meglio si conosce la produzione per tastiera, e del quale invece si stanno infittendo le ricerche per la musica sacra e vocale. L’altra, di Gaetano Veneziano, un autore che grazie alle diverse incisioni di Antonio Florio di oratori sacri meglio conosciamo in questo repertorio. In questa occasione Florio incide con il suo vecchio, dal nome nuovo, gruppo Cappella Neapolitana una Passio del Venerdì Santo o Passione secondo Giovanni .
In realtà per Pasquini già qualche anno fa Alexandra Nigito e Giovanni Caruso alla guida della Cappella Tiberina incisero delle bellissime Cantate della Passione che io a suo tempo recensii rimarcandone la particolare forma ed eccezionalità, che oggi ci viene confermata in pieno dall’Oratorio della Passione “La sete di Cristo” inciso dal Concerto Romano diretto da Alessandro Quarta.
Pur dedicate entrambe alle ultime ore di Cristo, alla sua Passione e Morte, si tratta di due opere completamente diverse: la prima in italiano, più nella tradizione oratoriale romana, la seconda una sorta di versione pre bachiana della Passione di San Giovanni Battista completamente in latino, ed è questa la sua particolarità, anche se non unicità nella straordinaria pratica musicale che si svolgeva a Napoli nella Settimana Santa.
Sappiamo quanto la vita musicale a Napoli nel Sei-Settecento fosse ricchissima e in tutto il corso dell’anno le occasioni per fare musica nei palazzi, come nelle cappelle erano continue. Ma sicuramente il periodo dell’anno in cui questa attività nel campo del Sacro si intensificava era la Quaresima e in particolare la Settimana Santa. Naturalmente questo non era una prerogativa della sola città partenopea. In ogni città, di confessione cattolica o protestante le occasioni per santificare musicalmente la Morte di Cristo erano numerosissime, ma per moltissimo tempo la musicologia soprattutto di impronta filogermanica attribuiva solo all’area protestante tedesca la particolarità di composizioni di Passioni sul testo del Vangelo delle quali esempi sommi sono le Passioni di San Matteo e di San Giovanni di Bach.
Ora questa bellissima Passione secondo Giovanni di Gaetano Veneziano del 1685 ci conferma che anche in Italia o almeno nel napoletano e in generale nel Sud della penisola il genere devozionale della Passione di Cristo cantata seguendo strettamente il testo del Vangelo e in latino, aveva una tradizione consolidata che solo la nostra scarsa conoscenza e studio delle partiture ci ha fatto pensare fosse un’esclusività germanica. Come per altro ci confema la Passio Domini Nostri Jesu Christi secundum Joannes di Alessandro Scarlatti, capolavoro giovanile del 1680, in genere dagli studiosi atttribuito al periodo nel quale il compositore si trovava a Roma in relazione con l’Oratorio del SS. Crocifisso. Oggi nuovi studi tendono invece a collocarla proprio a Napoli quando giunto nella città partenopea nel 1783 fu subito imposto dal Vicerè spagnolo come Maestro della Real Cappella e composta probabilmente nel 1685 seguendo una tradizione già condivisa a Palermo, come prova una analoga Passione dello zio Vincenzo Amato. Così un tipo di repertorio dai toni fortemente drammatici era senz’altro presente nella pratica devozionale durante la Settimana Santa della Cappella del Vicerè come dimostra questa Passione di Veneziano degli stessi anni.
Di Gaetano Veneziano, pugliese di Bisceglie, nato nel 1656 e approdato a 11 anni a Napoli per formarsi presso il Conservatorio di Santa Maria di Loreto, uno dei quattro conservatori della città, ricordo la sua sfolgorante carriera sotto l’ala protettrice di Francesco Provenzale del quale fu allievo prediletto e la sua nomina prima a organista soprannumerario della Real Cappella di Palazzo nel 1678 e in seguito organista del Tesoro di San Gennaro e nel 1704 Maestro organista della Real Cappella al posto di Scarlatti alla morte di Provenzale. Morirà sempre a Napoli nel 1716, dopo aver segnato con la sua importante presenza la musica napolatana. Numerosissimi risultano infatti le sue composizioni per cappelle, chiese e congregazioni per le tantissime festività religiose che arricchivano ogni momento del calendario liturgico devozionale. Del compositore rimangono anche degli stupefacenti Oratori in parte su testo di Andrea Perucci come La Santissima Trinità già incisa da Antonio Florio e il Tobia Sposo, indicato come Scherzo drammatico recentemente eseguito dall’Ensemble I figlioli di Santa Maria di Loreto nel luglio 2016, e il Mottetto pastorale in lode del S.S. Crocifisso del Carmine, Chiesa cardine della devozione napoletana della quale il Veneziano era Maestro di Cappella, eseguito anch’esso con ottimo risultato musicale dallo stesso Ensemble nel dicembre del 2015.
Tra le sue numerose composizioni la cui quasi totalità si trova conservata presso l’Archivio musicale dell’Oratorio dei Gerolamini di Napoli dove è anche l’unica copia databile intorno al 1685, composta seguendo le forme di quella di Scarlatti, consolidando l’ipotesi che entrambe furono composte per venire incontro alle stesse esigenze cerimoniali della Real Cappella o per uno dei tanti altri eventi che costellavano la Settimana Santa a Napoli.
Queste vedevano l’intervento del Vicerè con la corte non solo con esecuzioni nella Cappella di Palazzo, nelle numerose chiese nelle quali il corteo vicereale si recava, ma anche con due importanti processioni: quella de La Soletad illuminata da migliaia di torce del Venerdì Santo e quella del Sabato Santo con mortaretti e spari di artiglieria.
Uno scenario decisamente festivo, molto meno lugubre di quello che si svolgeva ad esempio in altri capitali europee come Vienna.
E’ in questo contesto che dobbiamo immaginare l’esecuzione delle Passioni napoletane, con probabile grande concorso di popolo ed aristocrazia della “Nazione Spagnola” .
Ritornando alle due Passioni in latino, quella di Scarlatti ha una scrittura decisamente più tradizionale fin quasi arcaica, che potrebbe risentire del modello oratoriale romano che egli ebbe decisamente modo di approfondire nei suoi giovanili anni nella Capitale prima del suo ritorno a Napoli, caratterizzato da una estrema perizia contrappuntistica e con molteplici riferimenti sia alle più moderne forme del recitar cantando con il dare più importanza alla parola dove la musica “sua serva” doveva seguirne il ritmo e imitarne il significato fino al minimo dettaglio, sia allo stile concitato che Scarlatti utilizza in particolare nella descrizione della cattura di Cristo. Invece le parti delle Turbae furono composte in stile polifonico e solo la parte di Cristo fu scritta in uno stile melodioso e melismatico in un continuo arioso.
Molto diversa la scrittura di Veneziano che potrebbe addirittura far pensare per la sua modernità ad una datazione più avanzata. Infatti essa si pone fin dall’inizio in un contesto dove la sovrapposizione dei due livelli quello contrappuntistico e armonico si fa non solo molto sontuosa con un basso continuo molto corposo ma muovendosi su accordi maggiori che danno al discorso musicale un andamento meno grave e più melodioso. La parte dell’Evangelista risulta composta alternando parti di arioso e recitativi modulanti armonicamente. Gli interventi di Cristo e i dialoghi con l’Evangelista sono a mio avviso di una straordinaria originalità e novità proprio per il loro andamento altamente melodico. Oltre che di ineffabile ieraticità. La modernità della scrittura di Veneziano risulta anche nel Coro, a nove voci, decisamente più potente e solenne di quello scarlattiano. Anche l’organico si presta a questa esuberanza compositiva: due violini, due violoncelli, liuto o arpa, violone ed organo.
Certo che il grande virtuosismo degli strumentisti della Cappella Reale e delle loro voci superbe devono aver reso questa Passione un vero capolavoro, capace di comunicare una partecipata drammaticità soprattutto nella parte finale della Morte di Cristo.
Antonio Florio dà a questa Passione di San Giovanni in latino una interpretazione a mio avviso ottima. Soprattutto per le voci scelte. Raffaele Pè è superbo nella parte dell’Evangelista, la sua voce che dona emozioni profonde nella capacita di e-movere gli affetti, lo rendono una delle migliori voci controtenorili di questo momento, capace di una intensità drammatica inusuale e di uno splendido timbro, con ottima proiezione ed estensione e sicurezza nel fraseggio. Non meno eccellente il Cristo di Luca Cervoni che sempre di più si sta confermando come il giovane tenore più efficace delle ultime generazioni, le sue ormai diverse recenti registrazioni ed esecuzioni in concerto lo confermano al di la di ogni dubbio. La sua voce morbida ed armoniosa si presta in modo eccezionale al repertorio sacro tardo seicentesco. Mi piacerebbe molto vederlo alla prova in un melodramma e l’occasione presumo che presto l’avremo se verrà confermata la sua presenza nella ripresa della Doriclea di Alessandro Stradella. Ottimo anche il Ghislieri Choirs, anch’esso ormai ci ha abituato ad esecuzioni eccellenti e gli strumentisti della Cappella Neapolitana.
Questo giudizio estremamente positivo sulla esecuzione però non elimina la perplessità circa la datazione della Passio, proprio la grande modernità che esprime, l’estrema ricchezza melodica che sembra anticipare un barocco napoletano più tardo, che fa pensare ad un autore assolutamente eccezionale a livello dell’Alessandro Scarlatti maturo. La grandezza di Gaetano Veneziano verrebbe confermata dagli altri Oratori citati, in particolare il Tobia sposo, del 1690, purtroppo ancora non inciso, ma da me ascoltato dal vivo a Napoli nell’estate scorsa.
Aspettiamo quindi un Veneziano Revival con molte incisioni ed esecuzioni di opere di questo autore ancora in gran parte misconosciuto.
Analoghe considerazioni possiamo fare per lo straordinario lavoro di Bernardo Pasquini del 1689, “La Sete di Cristo”, un Oratorio per la Passione eseguito a Roma in anni molto vicini a quello di Gaetano Veneziano e registrato da un vero, eccellente conoscitore di questo repertorio, Alessandro Quarta con il suo gruppo Concerto Romano.
Il contesto musicale romano è per molti versi analogo a quello napoletano ma la devozione assume un ruolo maggiormente caratterizzato in forme pompose e sontuose per la presenza del Soglio Petrino e delle Case Madri degli Ordini militanti della Propaganda cattolica post tridentina, con la Chiesa Triumphans e le sue esigenze celebrative e devozionali. A Roma oltre alle Cappelle legate al Papato, agli Oratori dei Filippini, Teatini e Gesuiti, alle Ambasciate presso la Santa Sede in conflitto fra loro nel far emergere una maggiore magnificenza e quindi potere dei loro sovrani, ai Collegi e le Congregazioni anche estere, sono i Cardinali Nepoti e le Famiglie aristocratiche vecchie e nuove a determinare in modo rilevante con le loro cappelle private, la loro vivacità intellettuale nei Palazzi o Ville extraurbane, una fittissima attività musicale sia sacra che profana. La lunga assenza di teatri pubblici a Roma non ha evitato che le opere in Stile rappresentativo trovassero a Roma una espressione autonoma ed originalissima rispetto all’esempio veneziano, grazie al Teatro della famiglia Barberini, l’arrivo poi di un personaggio come Cristina di Svezia determinò una concentrazione di attività musicale nelle varie sedi nelle quali risiedette l’ex regina che portò a un innalzamento del livello strumentale e compositivo di musicisti attivi in grandissimo numero nella città papale che ha pochi eguali in Europa. Stradella, A. Scarlatti, Corelli, Pasquini sono la punta di un icerberg i cui contorni sono ancora in gran parte da delineare. Opere, Cantate, Serenate all’aperto in estate, Accademie, Oratori anche nelle sale e cappelle private degli Ottoboni, degli Orsini, dei Pamphili, dei Borbone, dei Colonna, dei Barberini solo per citare le famiglie più importanti furono la realtà di una città che per molto tempo è stata un pò lasciata in sordina rispetto a Napoli e Venezia. Anche e soprattutto per il risalto che all’ attività di queste capitali della musica barocca è stato dato nella produzione contemporanea esecutiva.
Dello stesso Pasquini autore sommo, organico con ogni probabilità alla Famiglia Borghese, per moltissimo tempo si è voluto rimarcare esclusivamente la sua genialità nella produzione tastieristica, così nel New Grove 2001 dove viene ripetuta la risaputa grandezza dell’autore nella produzione cembalista, che è anche l’unica incisa, se si escludono un paio di Oratori: Caino ed Abele e Sant’Agnese, delle Cantate sempre per la Passione e si ignora totalmente l’enorme valore e attività del compositore anche in opere profane, se ne contano secondo Arnaldo Morelli che sta conducendo studi molto attenti ed appassionati su Pasquini, almeno 15 dal 1672 al 1692, un numero di tutto rispetto considerando anche le puntuali sospensioni dell’attività musicale ufficale, che però continuava sotterranea nelle residenze private.
Per non contare naturalmente gli Oratori. Questo eseguito da Quarta per la prima volta nel 2015, ha finalmente trovato la strada della pubblicazione e si tratta di una scoperta stupefacente. Io stessa ascoltandolo per la prima volta nella prima esecuzione moderna rimasi colpita non solo per la bellezza della musica, la perizia del direttore e del gruppo musicale e degli interpreti, ma per la grandezza del compositore, la sua originalità anche rispetto ad autori coevi, l’intensità e drammaticità di questa composizione.
A cominciare dal libretto di Nicolò Minato, erudito poeta bergamasco, autore di un’ampia produzione di libretti di opere soprattutto in ambito veneziano, che finì i suoi giorni a Vienna dove fu chiamato dal melomane e musicista Imperatore Leopoldo I d’Asburgo nel 1698. Un libretto di grande poesia con quattro personaggi che meditano e piangono sul Golgota sotto la Croce del Cristo morente.
Si evince con immediatezza la grande diversità rispetto alla Passio napoletana: lì è il Vangelo stesso a parlare, Cristo comprimario quasi rispetto all’Evangelista che narra le terribili vicende della Passione e Morte del Figlio di Dio.
Qui invece sotto la Croce si ritrovano la Vergine dolente, San Giovanni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Tutto ruota intorno alla parola, l’unica in latino “Sitio” (Sete) pronunciata da Cristo morente. Fin dalle prime battute l’acqua sembra essere la cifra di una sofferenza atroce ed ingiusta a cui è sottoposto il Cristo. Nella prima parte si ricordano agli infedeli ebrei che fu il Dio incarnato in Cristo a dare loro l’acqua nel deserto, che aprì le acque del Mar Rosso, che donò la manna e fece sgorgare l’acqua dalle rocce riarse per dare loro la vita. Acqua sono le lacrime che la Vergine, Giovanni, Giuseppe e Nicodemo versano e con le quali vorrebbero dissetare il morente al quale viene dato solo fiele ed aceto.
Ciascun personaggio dialoga introversamente con la propria anima sconvolta dal dolore o interagisce con gli altri in un crescendo drammatico che senza tregua porta alla Morte e alla disperazione. Sono dialoghi esacerbati, nei quali il canto diventa l’unico modo per esprimere una tragedia senza fine, un orrore incommensurabile, una pena infinita che porta a domande senza possibili risposte, “perchè gli Ebrei hanno fatto questo al loro Signore, perchè lo hanno sottoposto a questo martirio.”
Musicalmente è un vero capolaro: un continuum musicale di un afflato drammatico senza pari e di una composizione sapientissima, che già preannuncia il secolo XVIII.
L’Oratorio si apre con una Sinfonia in due tempi: Adagio ed Allegro, mentre una seconda Sinfonia è posta al centro della composizione dal Direttore con un Largo di grande bellezza per il dialogo serrato fra violino primo e secondo tratta dall’Oratorio “Il martirio dei SS. Vito, Modesto e Crescenzia del 1687.
Non ci sono fratture in questo continuum musicale: ariosi e recitativi, arie già col il da capo,melismi e colorature nelle arie della Vergine, contrappunto e stile madrigalesco nei numerosi duetti e terzetti, concertati e momenti in stile concitato o caratterizzati da un acceso lirismo patetico come nell’aria stupenda di Giuseppe d’Arimatea Sospira e lacrima, accompagnato dagli archi, o nell’aria della Vergine Ahi che duolo che passa all’arioso Oh insoffribile e di nuovo all’aria Miei sospiri. Modernissima anche la scrittura di Se potesse il pianto mio sempre di Giuseppe e la dolcezza patetica di Perdono mio Dio di San Giovanni.
Il lancinante dolore dei protagonisti trova infine conclusione prima in accenti al limite del furore per giungere ad un finale straziante prima in un recitatico accompagnato dall’organo “Spirasti” seguito dall’aria “Piangi Maria”, nel quale la Vergine si abbandona al suo immenso e crudele fato
Piangi Maria
Acqua e sangue
stilla esangue,
il mio figlio , il mio Dio,
l’anima mia. Piangi, Maria
Di assoluta eccezionalità l’esecuzione. Il direttore Alessandro Quarta imprime un ritmo senza sosta con dinamiche e tempi serrati ma con le necessarie morbidezze e lirismi là dove il testo lo richiede. Bravissimi i due violini, Paolo Perrone e Gabriele Politi la cui conclamata abilità e virtuosismo sono ben noti in questo repertorio seicentesco romano così intrigante proprio per la presenza assidua e pervasiva del violino che da Lonati arriverà a Corelli. Anche Marco Ceccato, contribuisce con la sua grande bravura ed esperienza al violoncello a questa esecuzione, così come ottimi sono Andrea Bucarella all’organo, Andrea Damiani alla tiorba e Giangiacomo Picardi all’arciliuto.
Il cast degli interpreti lascia senza fiato, dalla Vergine di una giovanissima Francesca Aspromonte, già estremamente matura nella sua parte complessa e dagli accenti tragici, della Vergine, con una voce pura e cristallina da corpo alle sofferenze estreme della Madre di Cristo, al lirismo sofferto di Luca Cervoni un Giovanni d’Arimatea ispiratissimo, al potente Nicodemo di Mauro Borgioni, uno dei migliori baritoni della nuova generazioni, dal timbro caldo e morbido, al San Giovanni di Francisco Fernandez -Rueda.
Queste due diverse ed ottime esecuzioni di partiture realizzate per il tempo quaresimale seicentesco sono entrambe da me fortemente suggerite all’ascolto, mentre per entrambi i compositori non posso che sperare in sempre più numerose esecuzioni del loro straordinario repertorio.
Isabella Chiappara Soria