Alessandro Stradella
San Giovanni Crisostomo
Oratorio in due parti
Eudosia primo soprano solo Francesca Cassinari
San Crisostomo Renato Dolcini
Teofilo Alessio Tosi
Inviato Carlo Vistoli
Arianna Lanci Testo/secondo soprano solo
Christine Marsoner secondo alto solo
Harmonices Mundi
Claudio Astronio clavicembalo e Direttore
Brilliant Classics 98478
Fino a non molto tempo fa la leggenda di una vita scellerata aleggiava sulla figura di Alessandro Stradella, oscurandone in parte la grandezza. Il mistero che sembrava gravare sulle sue origini, il brutale assassinio avvenuto ancora in giovane età, le fughe dalle diverse città che avevano anche segnato le tappe della sua carriera di artista, creavano una sostanziale misconoscenza dei processi formativi ed evolutivi che avevano dato sostanza e valore alla sua musica. Gli studi di Carolyn Gianturco hanno finalmente portato alla conoscenza degli studiosi le tappe di una vita, sicuramente avventurosa e ricca di colpi di scena, ma oggi chiaramente delineata. Intanto si è fatta luce sulla sua nascita a Nepi, cittadina non lontana da Roma nella Tuscia viterbese il 3 aprile 1639, da una famiglia nobile anche se di non grandi sostanze. Il nome del padre, Marcantonio, cavaliere di Santo Stefano, appare come finanziatore nel 1609 di un volume di madrigali di Kapsberger, il che sembrerebbe provare un certo interesse per la musica. Marcantonio si sposò due volte, la prima con Lucrezia Tabussi la cui casa è stata rintracciata a Nepi, la seconda con Vittoria Bartoli, una nobildonna di Orvieto. Da questo matrimonio nacquero tre figli, dei quali l’ultimo fu Alessandro. Durante la guerra di Castro Marcantonio fu nominato vice-marchese di Vignola, dove la famiglia visse dal 1642 al 1644, questo potrebbe fare luce sugli studi iniziali di Stradella che potrebbero essersi svolti a Bologna, sede allora di una importantissima scuola musicale. Quel che sappiamo con certezza è che dopo la morte del padre nel 1653 , a quattordici anni, insieme con la madre e un fratello maggiore si trasferì a Roma nel Palazzo Lante, dove la madre divenne “Donna della Duchessa” e i due fratelli paggi, e dove rimase almeno fino al 1660. La sua prima composizione nota è un oratorio (oggi perduto) per l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di San Marcello al Corso e risale al 1667. Nei dieci anni successivi Stradella fu molto attivo a Roma, richiesto dalle più grandi famiglie aristocratiche per la scrittura di cantate, dalle istituzioni religiose per composizioni sacre ed oratori, e da istituzioni laiche come il teatro Tordinona per prologhi ed intermezzi. La sua prolificità e creatività, la sua vicinanza alla regina Cristina di Svezia e a famiglie come i Pamphili e i Colonna, la sua nomina papale al titolo onorario di “cameriere extra”, non gli impedirono però, viste le sue magre sostanze, di cercare introiti al di fuori del suo “mestiere” di musicista. Proprio una di queste “avventure” lo portarono alla fuga da Roma, dove aveva scatenato le ire della famiglia Cibo per aver fatto sposare una donna “di vil nascita, malafama…ed anche brutta e vecchia” per 10.000 scudi, ad un parente del cardinale Alderano Cibo, Segretario di Stato del Papa.
Nel 1677 a 38 anni Stradella si trasferì quindi a Venezia dove fu accolto calorosamente dal suo protettore Polo Michiel che gli procurò il lavoro di insegnante di musica a Agnese Van Uffele, amante di Alvise Contarini. Dopo pochi mesi fuggì con la donna a Torino dove lo raggiunsero due sicari del Contarini che lo aggredirono picchiandolo quasi a morte. Alla fine dello stesso anno rimessosi e senza più la donna al seguito si trasferì a Genova dove trovò subito la protezione di Anna Pamphili e del marito Giovanni Andrea Doria. Fu incaricato come responsabile del Teatro Falcone, dapprima come assistente alle prove, in seguito come impresario e compositore. Un gruppo di nobili decise altresì di redigere un contratto con il quale avrebbero provveduto al vitto, alloggio, servitù, oltre a uno stipendio di 100 dobloni spagnoli all’anno, con l’unica condizione che non lasciasse la città. Furono quindi gli anni successivi agiati e sicuri finanziariamente anche perchè Stradella riceveva commissioni da più parti d’Italia, Roma e Venezia comprese. Ma la fortuna non doveva arridergli a lungo. Infatti la sera del 25 febbraio 1682 fu assassinato, pugnalato alle spalle da un ignoto sicario, per ragioni ancora oggi totalmente oscure. Aveva solo 42 anni.
La scrittura musicale di Stradella è estremamente personale e sicuramente si pone all’avanguardia della produzione compositiva di quegli anni. E’ anche ricchissima: si conoscono 312 composizioni conservate in 56 biblioteche di tutta Europa e negli Stati Uniti, e ricoprono tutti i generi musicali dell’epoca, dalle cantate a voce sole o a più voci, accompagnate dal solo basso continuo o da un insieme strumentale più numeroso, oratori e mottetti, composizioni per il teatro, sonate per uno o più solisti, composizioni per il concerto grosso.
La produzione sicuramente più interessante è legata agli Oratori, dei quali ce ne sono giunti sei, dai maggiori per dimensioni San Giovanni Battista e Susanna, a Ester Liberatrice del Popolo di Israele, Santa Pelagia, San Giovanni Crisostomo, e Santa Editta Vergine e Monaca, Regina d’Inghilterra. Molto interessanti per la forma di Accademia che assumono le Serenate come La forza delle Stelle o il Damone, e alcune opere la più nota delle quali è la Doriclea.
La diffusione della forma musicale oratoriale anche al di fuori di quelli che una volta erano i Luoghi deputati conclamati, chiese, confraternite, oratori, istituzioni religiose di vario tipo, è ormai confermata da diversi studi fra i quali importantissimi quelli di Arnaldo Morelli, che ha definito “Palace oratorio” il genere al quale Famiglie aristocratiche romane, o Porporati di grande prestigio, vollero dare una primaria importanza nella loro attività mecenatistica in campo musicale, soprattutto negli anni ’80 del Seicento per la presenza di un papa come Innocenzo XI, fortemente contrario ad ogni genere musicale che avesse una minima parvenza di spettacolarità. Abbattuto il teatro di TordiNona, sparito il teatro musicale, la nobiltà si rinchiudeva nelle proprie residenze intra ed extra urbane, per continuare una fittissima vita musicale fatta di forme sacre o profane, come Oratori, Cantate, Serenate fin anche Opere in Stile rappresentativo come avvenne per la prima opera di A. Scarlatti rappresentata a Roma nel 1683, l’Arsate, data con grande sfoggio di lusso a Palazzo Orsini a Pasquino presso Piazza Navona. Per gli stessi oratori si parla ormai diffusamente di una grande ricchezza negli Apparati effimeri e nei Costumi. Gli Oratori servivano anche da veicolo di propaganda religiosa e politica, soprattutto nel contesto romano. I librettisti erano spesso gli stessi porporati o aristocratici e la fonte era in particolar modo la Bibbia, generando un tipo di oratorio anche più particolare quello cosiddetto erotico del quale proprio Stradella fu prolifico autore, con la Susanna, l’Ester e la Santa Pelagia oppure storie edificanti dell’agiografia cristiana, Santi o Personaggi morali. Non era raro che potessero prendere la forma di Accademie piuttosto che di narrazione delle Storie sacre. La particolarità degli oratori di Stradella come Santa Editta e San Giovanni Crisostomo è proprio la scelta come protagonisti di Santi la cui venerazione era a Roma praticamente inesistente, facendo formulare come vedremo ragioni puramente politiche piuttosto che devozionali.
L’oratorio di Alessandro Stradella San Giovanni Crisostomo è conservato in una una partitura manoscritta nella Biblioteca Estense di Modena lì presente fin dal 1680, entrato a par parte degli archivi modenesi grazie alla passione del Duca Francesco II d’Este per le composizioni di Alessandro Stradella testimoniata anche da diverse commissioni come l’oratorio La Susanna nel 1681.
Dopo la prematura morte del compositore il Duca volle raccogliere diversi manoscritti di Stradella e in un catalogo settecentesco il San Giovanni Crisostomo risulta all’interno di un elenco di oratori con la dicitura “San Giovanni Crisostomo del Stradella diviso in parti”. Purtroppo non figurano conservati nè un libretto separato , nè materiali che provino la sua esecuzione quali pagamenti, indicazioni sul materiale d’esecuzione o cronache dell’epoca. Non conosciamo quindi ne l’autore del libretto ne la data dell’esecuzione.
Un elemento di comprensione potrebbe venire dalla politica di Papa Odescalchi, Innocenzo XI appunto, fortemente a favore di una strenua lotta contro l’Impero Ottomano e i Turchi che in quegli anni arrivarono ad assediare Vienna, e la loro idolatria. Infatti all’epoca in cui Crisostomo fu consacrato Vescovo di Costantinopoli nel 398 D.C. era papa Innocenzo I, il quale difese senza successo le ragioni del Santo Vescovo contro l’Imperatrice Eudosia. Il conflitto fra i due portò alla fine alla deposizione di Crisostomo e al bando che lo esiliò in un lontanio villaggio armeno.
L’oratorio San Giovanni Crisostomo consta di due parti ed ha alcune particolarità che lo rendono inusuale. La prima è relativa alla strumentazione che prevede il solo basso continuo, quando Stradella in genere utilizzava negli oratori complessi d’archi che potevano andare dai due violini, ad organici molto più numerosi che comprendevano talvolta anche concerto grosso e concertino. Questo ha fatto pensare che possa trattarsi di un oratorio dato in forma intima, quasi come un concerto da camera. Quindi si confermerebbe la sua esecuzione in una cappella privata di un palazzo nobiliare.
Il punto più spinoso nella lettura del manoscritto riguarda la mancanza di un’identificazione certa dei personaggi coinvolti nel dramma del santo. Se Eudosia (soprano I) e Crisostomo (basso) sono indicati con il nome nello spartito, ricordo che non esiste libretto, il tenore, designato come Testo nel recitativo n° 2, non viene più indicato, anche se è presente come antagonista di Crisostomo lungo tutto l’oratorio, e così il contralto che è chiaramente dal testo un sostenitore del Santo e il soprano II, impegnato solo negli insiemi e brevemente nel finale.
Per individuare i giusti personaggi bisogna quindi fare riferimento alla vita del Santo, secondo Patriarca di Constantinopoli ed annoverato fra i 35 Dottori della Chiesa.
Giovanni, detto in seguito Crisostomo per la sua eloquenza verbale (dal greco Chrysostom ossia lingua d’oro), era nato ad Antiochia nel 347 dC. e fattosi cristiano si dedicò all’eremitaggio. La sua salute malferma dopo otto anni di ascetismo estremo, lo costrinsero ad entrare nel diaconato di Antiochia dove fu ordinato sacerdote nel 386. Si mise ben presto in luce per le sue eccezionali doti di predicatore che lo portarono nel 398 a divenire vescovo di Costantinopoli e patriarca della Chiesa dell’Impero d’Oriente. Le sue predicazioni contro la lussuria e il vizio gli inficiarono però ben presto il favore dell’imperatrice Eudosia che le percepì come rivolte verso la sua augusta persona. Così con l’aiuto di Teofilo, vescovo di Alessandria ordì una congiura contro Giovanni e nel 403 nel corso del famigerato Sinodo della Quercia, lo fece deporre e l’anno successivo far mettere al bando dal marito, l’imperatore Arcadio, nonostante, sia l’imperatore di Roma fratello di Arcadio, Onorio, sia il papa Innocenzo I peronassero in favore di Giovanni. Ma il bando ebbe luogo e Giovanni fu inviato in un lontano eremitaggio in Armenia e da lì vagando arrivò a Comana in Helenopontus dove morì di stenti.
L’anonimo autore scrisse un libretto centrato soprattutto sulle dispute sorte in seno alla Chiesa d’Oriente in merito all’allontanamento di Giovanni da Bisanzio, e sul confronto serratissimo fra il santo e un suo sostenitore, che possiamo individuare come un inviato di Roma, forse del papa Innocenzo I, che si spese per la salvezza di Giovanni, e l’imperatrice Eudosia e il vescovo Teofilo. In effetti a Costantipoli alcuni inviati romani furono scacciati tanto che il papa in seguito all’azione dei vescovi orientali li scomunicò. Anche questo potrebbe adombrare un omaggio al nuovo papa che aveva fama di comportamenti ascetici e non è da escludere che anche per questo si decise di celebrare un Santo che così tanto, aveva, con la parola, fustigato i vizi.
Il dibattito aspro fra Eudosia e Giovanni è nell’oratorio espresso attraverso una serie di arie, duetti ed insiemi a più voci. Infatti ai protagonisti del dramma si uniscono l’Inviato di Roma e Teofilo, oltre a gruppi di cortigiani. Eudosia è rappresentata come fiera assertrice della sua sovranità che come tale deve essere adorata anche in effige. L’oratorio prende infatti le mosse proprio dalla richiesta dell’imperatrice di genuflettersi davanti alla sua statua di marmo, con Giovanni che condanna la sua idolatria. Già nel duetto inziale di due consiglieri il tono dell’Oratorio prende la forma di un contrasto fra Virtus e Vanitas, una delle tematiche che maggiormente interessano l’Etica cristiana post tridentina. Eudosia fin dall’inizio appassionatamente ed orgogliosamente difende la sua volontà, anche se il timore di rimanere isolata le fa sorgere dei dubbi che vengono espressi da una bellissima aria “Rei timori..” ben presto però supportata dai cortigiani in un terzetto di grande audacia contrappuntistica, e malgrado l’Inviato di Roma la inciti in un dialogo serrato concluso da un’aria bipartita, “Se mal corrette voglie” , Eudosia decide per la punizione di Crisostomo se non cede al suo comando. In un bel duetto fra l’Inviato e Teofilo e un contrasto in forma di arioso con Crisostomo che in un’aria quasi di furore con il da capo, Fugge il dì, fugge la vita” la invita ad abbandonare l’orgoglio e pensare alla fine dopo la morte, la sua determinazione a punire Giovanni prende il sopravvento. L’Inviato in un’ altra stupenda aria tripartita che sembra annunciare nella forma, una prima parte patetica , una parte centrale in stile concitato, e una ripresa di nuovo patetica, “Ogni regno diviso sen va” uno stile di scrittura molto avanzato per l’epoca, la incita di nuovo a ripensare alle sue decisioni mentre lo stesso Crisostomo in La morte n’addita le ricorda che il fasto mortale non segue l’anima ma adorna soltanto la tomba. Segue un duetto fra il Santo e l’Inviato Alme ree che però con convince Eudosia e Teofilo, e conduce alla seconda parte, dove il contrasto si fa estremamente più duro fin dal primo duetto fra l’Inviato e Teofilo, anch’esso in uno splendido stile contrappuntistico, dove prosegue la contesa fra Inviato, Teofilo, Crisostomo ed Eudosia che in un’aria in stile concitato Chi con il piccciol serpente scherza ribadisce la sua ferma e irrinunciabile decisione. Nonostante Crisostomo in un’aria patetica di calma e suprema ispirazione, Tu che sei di verità la inviti al pentimento, Eudosia risponde con infinita superbia nell’aria tripartita Su destati, o sdegno , una vera e propria aria di forza belluina, ricca di vocalizzi che esprimono tutta l’ira di Eudosia verso Crisostomo. Tra duetti, terzetti, arie ed ariosi nei quali sempre più Eudosia è determinata nella scelta di esiliare Crisostomo, si giunge ad un momento di pausa estatica nella più bella aria di tutto l’Oratorio, quella dell’Inviato di Roma E’ si bella la luce del dì, dallo splendido testo e musicalmente superba, con il da capo, di un patetismo malinconico e lirico. Eudosia celebra la sua vittoria in un aria Già placata ogni procella a cui fanno da controcanto i cortigiani in un terzetto. Nel finale il Testo ricorda la morte santificata dal martirio negli stenti di Crisostomo e l’Inviato chiude con un recitativo accompagnato dalla tiorba in cui si esprime la morale dell’Oratorio
Sperano indarno gl’empi
che gli serve di scudo
il regio manto alle sventure estreme:
fulminare i monarchi Iddio non teme.
Di questo esemplare Oratorio della produzione musicale di Alessandro Stradella Claudio Astronio da una lettura superba, che mi ricorda altre sue incisioni strepitose come il San Giovanni Battista e la Susanna a cui a mio avviso questo oratorio rimanda ripresentandone le audacie nella scrittura fra chiari e scuri che esprimono tutta la gamma degli Affetti barocchi, dall’austera calma al patetismo lirico alla concitazione bellicosa. Un lavoro che mi ricorda proprio per la determinazione della protagonista di annientare il rivale, proprio il San Giovanni Battista con i toni che sembrano portarla alla vittoria ma in realtà ne decretano la sconfitta storica ed umana.
Il cast è portentoso a cominciare dalla protagonista Francesca Cassinari, che finalmente offre una voce suadente e non stridente ad un personaggio femminile stradelliano, seguita dalla immensa sorpresa di due splendide voci entrambe uscite dalla Scuola di William Christie, Le Jardins de Vois, che già altre importanti scoperte ci ha offerto negli anni, di Carlo Vistoli, controtenore nella parte dell’Inviato, di una dolcezza inaudita, dal sicuro fraseggio e di bellissimo timbro, vellutato e bronzeo nello stesso tempo: la sua interpretazione dell’Aria E’ si bella la luce del dì è meravigliosa e dà a questa già bellissima aria , dei toni lirici ed appassionati. Aspettiamo la sua attesa prova come solitsta in un recital di prossima uscita per confermare un giudizio totalmente positivo. Non meno esaltante la prova di Renato Dolcini, baritono nel ruolo di Crisostomo, anch’esso bellissimo timbro e sicurezza in una parte non facile, come mai lo sono quelle di Stradella che esigono sempre voci di altissima caratura. Anche il tenore Alessio Tosi offre a Teodosio una voce dal timbro morbido così come ottime sono le prove di Arianna Lanci e Christine Marsoner nei ruoli secondari.
Il continuo affidato all’ottimo violoncello di Alessandro Palmieri, all’arciliuto di Massimo Piattelli, all’organo di Marco Facchini e al violone di Davide Nava è condotto con la solita bravura da Claudio Astronio che da ritmi molto serrati alle parti concitate ma anche pause liriche di grande bellezza. Ne consiglio vivamente l’ascolto, uno Stradella da antologia.
Isabella Chiappara Soria