DARIUS MILHAUD
Complete Violin Sonatas, Complete Viola Sonatas
GRAN DUO ITALIANO
Mauro Tortorelli, violino e viola
Angela Meluso, pianoforte
Brilliant Classics (2 CD)
Il Gran Duo Italiano Tortorelli-Meluso, con questa recente incisione per Brilliant Classics (2016), muove oltre la propria tradizionale ricerca nel repertorio italiano e avanza nel territorio musicale francese di primo Novecento. Lo fa seguendo criteri non banali, proponendo all’attenzione degli ascoltatori un autore non troppo di moda tra le attuali proposte discografiche, Darius Milhaud, e da un’angolazione, quella cameristica, di rado considerata centrale per affrontare la sua produzione. L’edizione presenta due dischi, uno dedicato interamente al violino solista, l’altro alla viola – entrambi, s’intende, con l’accompagnamento del pianoforte. Il titolo, «Complete Violin Sonatas – Complete Viola Sonatas», è vagamente fuorviante, ché le due coppie di sonate propriamente dette, per l’uno e l’altro strumento, sono affiancate, nel caso del violino solista, dall’Op. 18, Printemps e dal Capriccio No. 13 di Paganini (come indica Milhaud, «traité en duo concertante») e, nel caso della viola, dai 4 Visages, Op. 238. Il booklet, redatto da Francesco Maschio e tradotto in inglese, non delude affatto, dimostrandosi esauriente e, anzi, a apprezzabilmente tecnico nella presentazione dei contenuti.
La sinergia dei due esecutori (sì, nonostante i tre strumenti, ché Mauro Tortorelli imbraccia, con eguale disinvoltura, violino e viola, benché restituendo forse sonorità più tornite quando si trova a eseguire col primo, che non con la seconda) è rimarchevole. Lo scambio tra il pianoforte di Angela Meluso e la voce dello strumento solista è governato da un costante equilibrio, non si incontrano eccedenze espressive, né dall’una, né dall’altra parte, che in ogni caso corromperebbero l’atmosfera anti-romantica del repertorio. L’ottima intesa restituisce le opere come “in purezza”, non imprimendovi forse un’impronta personale di memorabile intensità, ma assecondandone lo spirito con rispetto e consapevolezza dei dettami espressivi a esse più convenienti e, soprattutto, riscoprendole, data l’infrequenza di loro esecuzioni nelle sale da concerto.
La scelta dei brani salva, come dicevamo, dall’indifferenza delle mode svariati volti della vastissima produzione del compositore francese: dal – pur sempre relativo – conformismo giovanile verso la scrittura dei grandi coevi connazionali, separati da Milhaud da poco più di una generazione (che erano, ça va sans dire, Debussy e Ravel), che respira soprattutto nelle opere dedicate al violino, incise nel primo disco; allo spirito cosmopolita, liberale e “moderno” conquistato con l’adesione al Groupe des Six, spirito che sopravvive allo scioglimento del gruppo e, anzi, continua a evolversi nelle forme di quell’«arte degenerata» di cui, negli anni ’40, Milhaud sarebbe stato considerato un autore (gli echi ambientali e culturali degli Stati Uniti che durante quegli anni lo accolgono, si riversano nei 4 Visages per viola e pianoforte); alla relazione (reinventante) con le forme antiche e con le tradizioni solistiche del XVIII secolo (si pensi alla riconcertazione del Capriccio paganiniano, come alla prima sonata per viola e pianoforte, Op. 240, concepita in maniera di suite), che restituisce un aspetto del “modernismo” di Milhaud nettamente meno considerato rispetto a quanto non lo siano le svariate importazioni dalla cultura popolare o, segnatamente, dal jazz nella sua musica.
Alice Verti