Bologna, Teatro Comunale, 18 dicembre 2016

J. Massenet

Werther

Libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, tratto da I dolori del giovane Werther di J. W. von Goethe

Juan Diego Flórez (Werther), Luca Gallo (Le Bailli), Isabel Leonard (Charlotte), Jean-François Lapointe (Albert), Alessandro Luciano (Schmidt), Lorenzo Malagola Barbieri (Johann), Ruth Iniesta (Sophie), Tommaso Caramia (Brühlmann), Aloisa Aisemberg (Kätchen), Susanna Boninsegni (Clara), Carlo Alberto Brunelli (Fritz), Irene Cavalieri (Gretel), Diego Bolognesi (Hans), Pietro Bolognini (Karl), Marco Conti (Max). Orchestra, coro di voci bianche e tecnici del Teatro Comunale di Bologna, direttore: Michele Mariotti, regia: Rosetta Cucchi, scene: Tiziano Santi, costumi: Claudia Pernigotti, luci: Daniele Naldi, maestro del coro di voci bianche: Alhambra Superchi

Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna

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Giusto prima di chiudere il sipario su un’annata disastrosa sotto il profilo finanziario, in conformità alle ben note e sventurate sorti che troppi teatri italiani da qualche decennio soffrono, il Teatro Comunale di Bologna propone un nuovo allestimento per il Werther di Massenet. E con ciò riesce, in extremis ma felicemente, a risarcire dallo sconforto che la fragilità dell’istituzione provoca ai suoi artisti, collaboratori e frequentatori, almeno con l’evidenza di un allestimento per più ragioni ammirevole.

Il merito del successo va, in primo luogo, a un cast che include due presenze femminili, quelle di Isabel Leonard (Charlotte) e Ruth Iniesta (Sophie), la cui appropriatezza nei confronti del ruolo e le cui abilità canore e sceniche risultano a dir poco inattese. Meno riuscita pare invece l’alchimia fra la persona scenica di Juan Diego Flórez e il suo personaggio, l’eroe eponimo del romanzo goethiano. Questo per via soprattutto di un registro emotivo un po’ monocorde, arduo da accettare se si pensa al bipolarismo tormentato del Werther originario, pur tenendo conto che il rifacimento di Blau, Milliet e Hartmann manipola la psicologia e la retorica dei personaggi traducendone le sfumature originarie Sturm und Drang secondo il gusto e la sensibilità autoctona del romanticismo francese.

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(foto: Rocco Casaluci 2016)

Manca insomma, nonostante l’indiscussa qualità dell’esecuzione vocale, quell’oscillazione fanatica e periodicamente repressa tra le speranze e gli idealismi da un lato, e l’inconsolabile disillusione dall’altro, che potrebbe garantire al ruolo di Werther più forti ragioni di interesse. Tutto il contrario va detto per la coprotagonista Charlotte, il cui narcisismo, redento solo in ultimissima istanza, è riprodotto dalla magnifica Isabel Leonard con sottigliezza e credibilità. Ogni aspetto luttuoso della storia goethiana ruota infatti attorno a Charlotte: il sacro rispetto, cui indirettamente ella obbliga perfino Werther a sottostare, nei confronti dell’adorata madre defunta, poi il lutto per la perdita dell’amore di Werther, dapprima anelato e poi abbandonato, e infine il nuovo lutto per la morte di lui. È insomma in sacrificio agli irrisolti conflitti di Charlotte che Werther si immola, e la crudele auto-referenzialità di costei, convertita nel finale in tenerezza e consapevolezza di colpa, è perfettamente resa dall’interpretazione di Leonard.

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(foto: Rocco Casaluci 2016)

Un’intelligente relazione fra scenografia (Tiziano Santi) e luci (Daniele Naldi) intrattiene con garbo, senza molte sorprese ma ma con discrezione e decoro. Del lavoro registico di Rosetta Cucchi si nota la somma accortezza con cui sono diretti la mimica e le interazioni dei personaggi. Come in un carillon, simile a quello donato a Charlotte dal suo Werther, cantanti e mimi eseguono, con un effetto di elegante artificio, un copione di estrema precisione ed eleganza. Meno lodevole invece un certo spasmodico desiderio nel sottolineare l’intensità erotica della prossimità fra i due coprotagonisti. Quando nel terz’atto Werther rievoca: «Ces livres! sur qui tant de fois nous avons incliné nos têtes rapprochées!…» offre una versione della prossimità amorosa tutto sommato casta, quasi intellettualistica. Lontana da quella messa in scena da Cucchi, dove Charlotte appare fin da principio assai più disinibita – al limite della facilità fedifraga – mentre Werther non si trattiene nemmeno, alla prima occasione della loro compresenza in scena, dal cingerle la vita davanti all’intera famiglia di lei.

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(foto: Rocco Casaluci 2016)

Un convinto applauso va rivolto infine al lavoro del direttore Mariotti e all’orchestra del Teatro che, oltre a non deludere affatto quando la partitura prevede parentesi solistiche per i fiati, o quegli unisoni di violoncelli tanto wagneriani e di necessità iper-espressivi, restituisce un Romanticismo nient’affatto strascicato, dolente quanto basta; rigoroso, se vogliamo, ma pieno di pathos.

Clamorosa l’intensità con cui il pubblico ha richiesto a Flórez il bis, concesso, del «Pourquoi me réveiller». Da sentirsi sbalzati d’improvviso in un’epoca diversa da quella attuale.

Le repliche proseguono il 20 (turno C), 21 (turno A) e 23 dicembre 2016 (turno B).

Alice Verti