Max Reger
“Complete Music for Clarinet and Piano”
Claudio Conti (clarinetto) – Roberta Bambace (pianoforte)
CD Brilliant 95258
Artisticamente, poiché ciò non riguarda solo l’ambito musicale tout court, ciò che risulta irrisolto provoca inevitabilmente maggior fascino rispetto a ciò che viene risolto, in quanto la prima situazione pone esteticamente degli aspetti che lasciano intendere una risposta sospesa nell’ipotetico, aprendo conseguentemente un ventaglio di possibilità ermeneutiche che la manifestazione del risolto non prende solitamente in considerazione. L’irrisolto, anche in musica, è come l’uomo nella caverna descritto da Kierkegaard, nella quale dietro di sé ha un solo ingresso e di fronte innumerevoli uscite, non sapendo e non decidendo quale prendere. Nella storia della musica, la caverna di kierkegaardiana memoria viene esemplarmente rappresentata dalle opere di Max Reger, le quali devono il loro fascino proprio dall’impossibilità di vedere realizzate in esse il concetto dell’uscita e, quindi, dell’essere considerate irrisolte per ciò da dove sono entrate e da dove non sono uscite. Ecco per quale ragione il compositore e organista tedesco appartiene di diritto a quella pletora di musicisti per i quali l’intervento critico-ermeneutico deve sottostare a un risultato qualitativo della loro produzione che li pone su un segmento assai risicato, segmento interpretativo che ha una certezza di base sulla quale intervenire (l’entrata), ma non una sulla quale circoscrivere e focalizzare (l’uscita), in nome di quel connotato di ir-resoluzione, attinto dall’essere irrisolto di cui è intrisa la sua musica. L’irrisolto che coinvolge Max Reger, più precisamente la dibattuta e annosa aporia tra la sua rigorosa formazione accademica, che si riflette in uno stile aggrappato agli stilemi di un presente che non si decideva mai ad accettare il suo ruolo di passato, e la poderosa spinta fornita dalla progressiva elaborazione di un linguaggio armonico-cromatico teso a oltrepassare e ad anticipare nelle volontà e nella percezione compositiva quello che poi Schönberg e la Seconda scuola viennese concretizzarono appieno solo alcuni anni dopo, include in parte anche il corpus cameristico del clarinetto e del pianoforte, come si può evincere dalla presente registrazione dell’integrale delle opere regeriane concepite per tale organico. Certo, quando si pensa al repertorio del clarinetto e del pianoforte in area tedesca di fine Novecento, non si può non fare riferimento a quella colonna portante rappresentata dalle due Sonate op. 120 che Johannes Brahms scrisse nell’estate del 1894 e che, inevitabilmente, vengono prese a modello da Reger nelle sue due Sonate dell’op. 49 composte entrambe sei anni dopo quelle brahmsiane. Solo sei anni, ma che in fase di ascolto e di riflessione sembrano molto più distanti nel tempo per intenti e finalità. E se il sommo compositore di Amburgo volle dare vita alle Sonate dell’op. 120 per esaltare il suono magico espresso da un virtuoso eccelso del tempo, Richard von Mühlfeld, primo clarinetto dell’orchestra ducale di Meiningen, da parte sua Reger, nelle due Sonate op. 49, creò per lo strumento a fiato un percorso a ostacoli, uno più difficile dell’altro, al punto tale da pensare che invece di elogiarlo, abbia voluto punirlo a causa di una tessitura che definire impervia è dir poco. Ma non è questione di esaltazione o di punizione: in realtà, anche le due Sonate in questione di Reger (la prima in la bemolle maggiore e la seconda in fa diesis minore) sono altrettanto affascinanti, ammalianti, dotate di una profondità che si scopre soltanto ascolto dopo ascolto, innervate da zone paludose dove a tratti il fondo del terreno si fa più solido e saldo. E poco importa che il colloquio, il fraseggio con il pianoforte non venga quasi mai meno, ciò che conta è l’inquietudine, la destabilizzazione armonica che ne risulta, che porta la scrittura di Reger a chiudere non solo la finestra, ma anche la porta della stanza che le due Sonate brahmsiane avevano delicatamente e nostalgicamente illuminato. Sì, perché dove Brahms aveva illuminato con una chiarezza e una precisione disarmanti, là Reger pensa bene di offuscare, di annullare, di manipolare senza però, ecco l’irrisolto!, proporre una risposta alternativa in termini di linguaggio e di espressione, se non una scrittura dalla quale tracima cromatismo a volontà. Semmai, quasi paradossalmente, è con la sonata successiva, quella dell’op. 107 in si bemolle maggiore, composta tra il 1908 e l’anno successivo, che Reger fissa meglio alcuni aspetti compositivi non guardando e facendo leva su un linguaggio armonicamente più ardito, ma rifacendosi ancor più sulla lezione brahmsiana, ossia riaffondando le radici del futuro non sul suo presente ma sul passato altrui (e facendo ciò tende ancora più a dare corda al partito dell’irrisolto espresso dalla musicologia e dalla critica odierne). In questa terza sonata, infatti, vi è un rigurgito di lirismo, quasi di accettazione di ciò che prima era stato rifiutato, oltre a una patina di umorismo (elemento questo che traspare in molte altre composizioni del “serioso” Reger) che tende a smussare, a stemperare le secchiate di cromatismo precedente. Poco o punto hanno da aggiungere in tal senso le altre due pagine minori che completano l’integrale, l’Albumblatt in mi bemolle maggiore e la Tarantella in sol minore.
Tornando alle Sonate, soprattutto le prime due, prima di essere affrontate con un’acconcia esecuzione, devono essere realmente domate, principalmente dal clarinetto, nel senso che devono essere circoscritte, dipanate e dis-occultate, per far sì che lo strumento a fiato non solo padroneggi la scrittura di sesto grado che lo riguarda, ma che sia anche in grado di instaurare un dialogo serrato, umorale, simbiotico e antitetico con il pianoforte. E in ciò Claudio Conti è stato a dir poco all’altezza, capace di restituire un timbro, una concezione musicale della sua parte realmente al di sopra delle righe, ottimamente supportato dal pianismo essenziale, ma non meno fondamentale e pregnante, del pianoforte di Roberta Bambace, precisa, “materna” (nel senso bachofeniano del termine) e sempre pronta a un confronto nel quale il suono è ombra e luce allo stesso tempo, come vuole quel simbolismo pittorico e poetico dal quale Reger s’abbeverò. Alchemico.
Andrea Bedetti