Patrizio Marrone
“Conversazioni con le cose senza nome”
Ciro Longobardi (pianoforte)
Tommaso Rossi (flauto dolce)
Daniele Colombo (violino)
Antonio Grande (chitarra)
Quartetto di sassofoni Arcadia
CD Stradivarius STR 37037
Mi piace pensare che nella visione musicale e artistica del napoletano Patrizio Marrone ci sia un proficuo colloquio e un continuo rimando con il classicismo della grande scuola partenopea, quella di Alessandro e Domenico Scarlatti, di Domenico Cimarosa, di Francesco Durante, Francesco Feo, Nicola Porpora, Niccolò Jommelli, così come Bruno Maderna e Luigi Nono non mancarono mai di trovare nella scuola veneziana di Adrian Willaert, di Cipriano de Rore, di Claudio Merulo, di Andrea e Giovanni Gabrieli e di Claudio Monteverdi un affidamento e un punto di riferimento. Dico questo perché trovo che nel disco di Marrone, intitolato “Conversazioni con le cose senza nome”, la grande lezione della scuola napoletana si annidi con tutta la sua impronta classicista, contraddistinta da una nobiltà di espressione che sa essere anche sorniona, contemplativa e finanche (apparentemente) distaccata. Perché anche grazie a questa patente di tradizione che presente nelle sue partiture, il compositore partenopeo ha potuto e voluto indagare sulle cose senza nome attraverso le cinque composizioni che portano il titolo del CD e che sono state scritte progressivamente nel tempo e numerate cronologicamente dalla prima alla quinta (oltre ad altri tre brani presenti, “Non è una carezza” del 2007 per flauto dolce e “Adagio” e “Rondò” per quartetto di sassofoni composto due anni prima). Ma questa mancanza, questa assenza di (altrettanto apparente) nominalismo, palpato attraverso il timbro di tre differenti strumenti, le prime tre per pianoforte, la quarta per violino e la quinta per chitarra, cela, e mi piace sempre pensarlo, la ricerca dialettico/sonora non delle cose senza nome, ma di quelle ultime, intrise da una contemplazione nella quale il mistero escatologico non ha più bisogno del logos. Da qui, la ricerca e la rappresentazione di Patrizio Marrone che con queste “conversazioni” dal sapore così acomunicativo ha voluto classicamente disincarnare la dimensione sonora per abituarci alla rappresentazione di ciò che non può avere nome, in quanto dopo di esso non ci sarà altro. Se Ciro Longobardi al pianoforte è semplicemente una sicurezza quando si tratta di affrontare partiture di musica contemporanea, sia il violino di Daniele Colombo, così come la chitarra di Antonio Grande, dipanano al meglio la matassa timbrica nella quale si trovano avviluppati i loro strumenti. Va da sé che Tommaso Rossi al flauto dolce e i componenti del Quartetto di sassofoni Arcadia (Gianfranco Brundo, Corrado La Marca, Salvatore Cutrò e Marco Caruso) infondono sicurezza e sono validissime guide per l’ascoltatore che decida di affrontare, nei panni di un inconsapevole Giasone, il viaggio nel regno dove le cose senza nome si scoprono anche ultime.
Andrea Bedetti