Cover CD Traversa - Stradivarius

Martino Traversa

“Landscape”

Ensemble Prometeo

Hae-Sun Kang (violino)

Ciro Longobardi (pianoforte)

Marco Angius

CD Stradivarius STR 37035

 

Sebbene sia maggiormente conosciuto come colui che ha dato vita alla Fondazione Prometeo e alla manifestazione Traiettorie, due punti fermi e ineludibili della musica contemporanea italiana attuale, il siciliano Martino Traversa è uno dei più raffinati e, sotto certi aspetti, più enigmatici compositori del nostro presente musicale. E anche uno dei più problematici, per ciò che riguarda l’approccio d’ascolto alla sua musica, sfuggente a definizioni canoniche e refrattaria alle consuete classificazioni dal sapore tassonomico. Ne fa fede questo disco che raccoglie quattro sue composizioni, due dedicate a un piccolo organico orchestrale (“Triple Trio” e “Landscape”) e le altre due per strumenti singoli (“6 Annotazioni” per pianoforte e “Red” per violino), che hanno il merito di fornire, a coloro che non conoscono la sua musica e non ne sono avvezzi, il DNA compositivo ed estetico che contempla l’arte di accostamento e concatenamento dei suoni di Traversa. Si prenda come esempio il Giano bifronte rappresentato da “Triple Trio” e dal suo opposto “Landascape” per comprendere come il compositore di Caltagirone sia in grado di plasmare e manipolare l’applicazione timbrico/sonora nel dispiegamento orchestrale o di ensemble, per meglio dire, in quanto la ricerca musicale di Traversa esige anche la precisa e ineludibile scelta strumentale sulla quale il suono deve fare affidamento. Un aspetto, questo, testimoniato dal primo brano, nel quale Traversa effettua una mirabile operazione di associazione/dissociazione dei suoni attraverso il collante di un costrutto strumentale in cui si esemplifica un principio di attuazione decostruttiva/co-decostruttiva, ossia nella quale la decostruzione in atto e il fenomeno di de-composizione timbrica si attuano anche mediante un processo sonoro che propone una sorta di “costruzione dispersiva”, un “mito di Sisifo” applicato alle regole del suono. In questa violenta, sismica progettazione entropica, lucida, fatale, ineluttabile, fanno la loro apparizione anche squarci lineari, traiettorie timbriche che si distaccano (apparentemente) dal processo di dissoluzione materica e che vengono enucleate dall’intervento tracciante dei fiati, si pensi al clarinetto e al fagotto. Al suo opposto (ma fino a “quanto” realmente opposto?) si pone una pagina come “Landscape”, il cui sottotitolo, “Tre immagini di un paesaggio sgretolato” possono rappresentare la continuazione/s-continuazione di quanto enunciato da “Triple Trio”. Qui, però, si deve focalizzare che cosa si deve intendere per “sgretolazione” (con la debita fase di distacco timbrico-uditivo rispetto al brano precedente), ossia osservare acusticamente nel modo più appropriato la materia sonora in essere che si adagia, si conforma, si “sgretola” (non nel senso evoliano delle rovine e delle macerie che circondano l’Uomo contemporaneo, artefice e vittima del “suo” Kali-Yuga), ma in un ambito “pulviscolare”, “frammentato”, di una polvere che, dopo essere stata materia “falsamente” attiva (la “co-decostruzione” manifestata precedentemente), torna a essere e a restare polvere (e in ciò il dipinto che appare sulla cover del disco, “A Seashore” di quell’autentico vision-ario che è stato Turner, può rappresentare l’elemento sonoro in atto che si trasforma e si mutua in materia visiva, dando vita a un panorama costruito nella sua pulviscosità, anticipazione visivo-sensoriale di quello che sarà poi ambito e prerogativa del “pointillisme” post-impressionista).

Tra questi due falsamente “finti” opposti, si pongono i due brani per strumenti singoli, nei quali altrettanti strumenti “per eccellenza”, nel duplice significato di eccellere nel panorama organologico e di “distinzione” e di “distacco” timbrico rispetto alle necessità sonore invocate dal compositore siciliano, si fanno carico di una materia musicale nella quale la dimensione entropica volge a un’irradiazione in cui la voluntas esige una maggiore organicità di intenti costruttivi (o presunti tali). Sia le “6 Annotazioni”, sia le dieci sezioni di “Red” (con due specialisti dell’esecuzioni di musica contemporanea quali Ciro Longobardi al pianoforte e Hae-Sun Kang al violino) rappresentano proprio ciò, tenuto conto che i due strumenti non vengono tanto sottoposti a un compito esplorativo delle loro possibilità (non è ciò che interessa in sé al compositore di Caltagirone), quanto a illustrare (la visualizzazione proiettiva, questa sì, non manca) la dimensione e la relativa percezione del suono da loro espresso. Da qui la suddivisione in segmenti (leggasi “frammenti”) che cercano di raggrumarsi, di saldarsi in molecole nelle quali i gruppi di note e di accordi possano dare vita (ossia presenza acustica) ad altrettante immagini sonore (e in ciò penso soprattutto a “Red”). Si è già detto della prova a dir poco maiuscola di due interpreti sensibili alla musica contemporanea quali Ciro Longobardi e Hae-Sun Kang, ma non si deve dimenticare come Marco Angius e i componenti dell’Ensemble Prometeo siano stati in grado di proporre una lettura paradigmatica dei due brani orchestrali, i quali devono essere presi a modello e sottoposti a tutti coloro che si arrogano ancora il diritto di affermare che per eseguire la musica contemporanea non è necessario essere dei virtuosi, né a livello di direzione, né in quello di interpretazione.

Andrea Bedetti