Felix Mendelssohn
“Piano Trios, Opp. 49 & 66”
Fournier Trio
Hi-Res Resonus Classics RES10161
Definire la scrittura musicale di Felix Mendelssohn elegante, “classica” (anche se tale aggettivo viene usato spesso a sproposito nei confronti del grande compositore amburghese, soprattutto quando viene impiegato per contrapporlo al suo concetto di “romanticismo”), può apparire pleonastico, ma è indubbio che il fascino che si sprigiona dalle pagine della sua produzione scaturisce dalla consapevolezza che sono stati pochi i musicisti capaci di raggiungere gli stessi vertici di equilibrio formale di questo autore. Ed è soprattutto nell’ambito della musica cameristica che Mendelssohn raggiunge tali risultati, come nei due Trii per pianoforte, violino e violoncello, composti rispettivamente nel 1839 e nel 1845, ossia nel periodo della sua completa e felice maturità artistica. Non devono dunque stupire le parole che Robert Schumann scrisse a proposito del primo Trio op. 49, quando definì Mendelssohn «il Mozart del nostro momento storico, il più brillante dei musicisti, quello che ha individuato più chiaramente le contraddizioni dell’epoca e il primo che le ha riconciliate tra di loro». Ecco, il punto è proprio questo: nessun altro, come Mendelssohn, è riuscito a riproporre l’arte della conciliazione degli opposti della quale fu artefice e maestro assoluto il divino salisburghese. Quindi, ascoltare questi due capolavori significa assistere all’elaborazione ultima, in chiave cameristica, da parte di Mendelssohn di un processo creativo che, partendo da Mozart, passa attraverso Beethoven e, soprattutto, Schubert, ossia una profonda e appassionata riflessione della materiale musicale nella quale i tre strumenti riescono a raggiungere una perfezione di sintesi ed equilibrio formale che è stupefacente (nei quali il pianoforte fa da elemento catalizzatore, da “semaforo strumentale”). Sintesi ed equilibrio che il Fournier Trio, formato da Sulki Yu al violino, Pei-Jee Ng al violoncello e Chiao-Ying Chang al pianoforte, al loro debutto per l’etichetta discografica britannica, riesce a riproporre quasi idealmente, conferendo al suono una dimensione nella quale l’enunciazione e lo slancio timbrici non debordano mai da quel “classicismo” ideale, leggasi conciliazione degli opposti, ossia il vero, magistrale marchio di fabbrica mendelssohniano.
Andrea Bedetti